domenica 30 dicembre 2012

A spasso per l'Europa. I "Comenius" visti da Loredana Magazzeni

A spasso per l’Europa. I Progetti Comenius di un Istituto comprensivo di Bologna. Intervista a Loredana Magazzeni

Una traccia pedagogica per gli scambi
L’educazione nel gruppo-classe. La pedagogia istituzionale” di Aida Vasquez – Fernand Oury, 1971, Centro Editoriale Dehoniano, è un testo universitario fra quelli proposti dalla cttedra di Pedagogia Speciale, che gli studenti di Scienze della Formazione Primaria ancora oggi studiano, dopo quelli di Scienze dell’Educazione e di Pedagogia negli anni passati. E’ un libro fondamentale dove si dà la definizione di Pedagogia Istituzionale. Leggiamo nelle sue pagine: “un insieme di tecniche, di organizzazioni, di metodi di lavoro, d’istituzioni interne, nati dalla prassi delle classi attive. Essa colloca  bambini e adulti in situazioni nuove e varie che richiedono a ciascuno impegno personale, iniziativa, azione, continuità. Queste situazioni spesso ansiogene sfociano naturalmente in conflitti che, non risolti, impediscono contemporaneamente l’attività comune e lo sviluppo affettivo e intellettuale dei partecipanti. Da qui la necessità di utilizzare, oltre a strumenti materiali e a tecniche pedagogiche, strumenti concettuali e istituzioni sociali interne atte a risolvere questi conflitti attraverso la facilità permanente degli scambi materiali, affettivi e verbali. La pedagogia istituzionale si può definire: da un punto di vista statico, come la somma dei mezzi impiegati per assicurare le attività e gli scambi di ogni ordine dentro e fuori la classe. Da un punto di vista dinamico, come una corrente di trasformazione del lavoro all’interno della scuola. I cambiamenti tecnici, le relazioni interindividuali e di gruppo, a livello conscio ed inconscio, la strutturazione dell’ambiente creano situazioni tali da favorire, grazie alle istituzioni varie e variabili, la comunicazione e gli scambi. Nella classe (preferiremmo poter scrivere scuola) diventata luogo di attività e di scambi, saper parlare, comprendere, decidere, ecc… saper leggere, scrivere, contare, diventano delle necessità. Questo nuovo ambiente favorisce, accanto all’apprendimento scolastico, l’evoluzione affettiva e lo sviluppo intellettuale del bambino e degli adulti”.
La Pedagogia Istituzionale propone alcune tecniche per motivare e dare senso all’apprendimento: la corrispondenza scolastica e interscolastica, lo scambio di testi e documenti, il giornale scolastico, i viaggi di scambio. Nello stesso tempo viene assegnata uguale importanza agli aspetti organizzativi come la disposizione degli spazi, la zona personale di sicurezza, l’assunzione di responsabilità, la gestione dello spazio collettivo, il lavoro di gruppo, le classi di livello, il consiglio di cooperativa. Queste tecniche conducono alla realizzazione di un ambiente educativo tollerante, aperto e pluralista, dove tutte le forme di espressione sono accolte dal gruppo per la maturazione delle qualità di ciascuno. L’attività scolastica e la vita sociale non appaiono più come scopi, bensì come mezzi per risolvere i problemi della classe. Al centro di questa pedagogia è la nozione di scambio, considerata nell’accezione più estesa: da quelli del lattante a quelli interscolastici fra classi nella scuola secondaria, grande significato viene attribuito alla relazione e agli stili comunicativi. Per la pedagogia istituzionale il gruppo strutturato presuppone relazioni interindividuali e presa di coscienza dei ruoli, utilizzazione possibile dei conflitti, attivazione di ideali comuni e del rispetto della particolarità di ognuno. L’importanza della dimensione storica del bambino e il suo radicamento nell’ambiente sociale sollecita una relazione collaborativa con la sua famiglia.
Vale la pena aiutare a ricordare che, se alcune prassi consuete come i viaggi di scambio e di istruzione sono diventati per noi consolidati fino al punto da sembrarci ovvii, è possibile rintracciarne l’origine e il valore pedagogico, magari conosciuti con un altro nome oppure sotto un altro punto di vista: se oggi i viaggi di scambio sono sostenuti e finanziati dall’Unione Europea, c’è stato un periodo in cui erano lasciati all’iniziativa pedagogica e finanziaria di quei Comuni e di quelle città che investivano nell’educazione. In ogni caso il viaggio di scambio costituisce un’esperienza importante e altamente formativa, ma non solo, come dimostra il testo di Oury, può entrare a far parte di un panorama educativo più articolato e ricco di spunti. Il comune di Bologna ha avviato iniziative di scambi fra scuole italiane e di paesi stranieri anche per la scuola primaria fin dal 1982. La prima classe dell’allora scuola elementare che partecipò a uno scambio era proprio nello stesso quartiere dove lavora oggi Loredana, il quartiere Barca: una classe quinta della scuola Giovanni XXIII  andò a Firenze, e in seguito i Fiorentini vennero a Bologna, ospitati a Villa Aldini. Il via al progetto fu di Aureliana Alberici, allora Assessore in procinto di trasferirsi a Roma. 

Il progetto

Loredana Magazzeni, che è nota come poetessa, fra le più significative nella sua città e presente nel panorama letterario nazionale,  insegna all’IC 1, presso la scuola media G. Dozza, come insegnante di sostegno. “L’Istituto Comprensivo 1 partecipa a tre progetti europei finanziati dall’Unione Europea nell’ambito dell’Educazione del Programma d'azione comunitaria nel campo dell'apprendimento permanente, o Lifelong Learning Programme (LLP), che è stato istituito con decisione del Parlamento europeo e del Consiglio il 15 novembre 2006 e riunisce al suo interno tutte le iniziative di cooperazione europea nell'ambito dell’istruzione e della formazione dal 2007 al 2013. Il suo obiettivo generale è contribuire, attraverso l'apprendimento permanente, allo sviluppo della Comunità quale società avanzata basata sulla conoscenza, con uno sviluppo economico sostenibile, nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, garantendo nel contempo una valida tutela dell'ambiente per le generazioni future. Il primo progetto Comenius dell’IC 1 è stato presentato per gli anni scolastici 2010-2011 e 2011-12. Si tratta di un Partenariato Bilaterale che coinvolge la scuola secondaria di I grado “G. Dozza” e la scuola “Axente Sever” di Aiud, Romania; il titolo del partenariato è: “Mon Pays: l’Adolescence, mon addresse: l’Union Européenne” . Questo progetto coinvolge due scuole di due paesi diversi e si propone di formare i nuovi cittadini dell’Europa sviluppando l’uso e l’apprendimento delle lingue comunitarie ufficiali. Esso prevede inoltre uno scambio tra gli alunni dei due paesi finanziato interamente dall’Unione Europea. Per preparare lo scambio gli alunni lavorano insieme alle attività previste dal partenariato per poter, poi, realizzare un prodotto finale comune. Questa significativa esperienza interculturale e linguistica viene amplificata dal fatto di soggiornare in un altro paese entrando in contatto diretto con un’altra cultura, un’altra lingua e soprattutto con la vita quotidiana, scolastica e non, di altri ragazze e ragazzi.

Loredana Magazzeni parla del progetto.

“Il nostro progetto prevede il coinvolgimento di un gruppo di 15 studenti  che portano avanti, insieme ad alcuni insegnanti, un lavoro sul tema dell’adolescenza ed il mondo dei giovani. Esso ha come obiettivo la realizzazione di una rivista bilingue con articoli, recensioni, poesie, quiz e giochi in lingua inglese e francese. Gli studenti coinvolti hanno ospitato i loro compagni rumeni a maggio 2011 per 12 giorni e si sono recati in Romania con alcuni insegnanti della scuola nel marzo 2012. Dalla nostra esperienza diretta, ma anche da quello che hanno scritto i ragazzi nelle rispettive riviste bilingui “L’Adolescent/Adolescentul” di Aiud e “Freedom” dell’I.C.1 di Bologna, o rispondendo a brevi interviste, ci sono parsi uguali agli adolescenti italiani. Amano gli stessi sport, la stessa musica, la moda, uscire insieme la sera, cercarsi in chat e sui social network. E’ stato notato da alcuni nostri allievi che ai ragazzi rumeni è richiesta una maggiore aderenza alle regole formali sia in ambiente scolastico, sia nei luoghi pubblici e verso tutti gli adulti,  mentre gli italini sono apparsi, al confronto, più chiacchieroni, più rilassati, meno “educati”, ma poi vengono socialmente tollerate comportamenti che in Italia sono severamente vietati (fumare nei bar, bere alcolici, randagismo animale, mendicità). Le ragazze hanno difficoltà negli spostamenti, se abitano in piccoli centri, perché i trasporti sono meno frequenti. Le emozioni sono fortemente vissute e manifestate sia dalle femmine sia dai maschi (anche i maschi piangono, o si esaltano, si baciano e si abbracciano), in generale potrei dire che si tratta di un paese di gente “passionale” e questa attitudine si evidenzia anche nel canto che è molto praticato e nelle danze, sia moderne sia popolari: tutti danzano, maschi e femmine, giovani e anziani. Non conoscevo nulla della Romania, e proprio per non andare “alla cieca” con i miei studenti, ho trascorso 15 giorni dell’estate precedente allo scambio attraversandone in macchina alcune regioni (Maramures, Transilvania, Banato, Bucovina, Moldavia) assieme a mio marito, a una mia cara amica e a suo marito, Leonardo Piasere, un antropologo fra i principali esperti italiani di cultura Rom. La Romania ci ha estasiato e commosso. Un paese antico e verde, ricco di castelli e monasteri ortodossi. In alcune regioni sopravvivono basiliche lignee del 1700, patrimonio dell’umanità, mentre i monasteri sono completamente affrescati, all’interno e all’esterno, con storie dell’antico testamento e  di imprese di eroica resistenza agli invasori turchi, delle vere e proprie “Cappelle Sistine” rumene. Purtroppo il turismo europeo è ancora pressoché inesistente, penso che facciano la differenza i pregiudizi che resistono tuttora e l’ignoranza verso uno dei primi stati europei ad aprire prestigiose università e addirittura il primo ad istituire dottorati di ricerca. L’Italia, la lingua italiana, sono in Romania particolarmente amate. Non c’è rumeno che non parli di un famigliare o di un amico che lavora in Italia, o della sua stessa esperienza in Italia come un periodo di sogno. L’Italia è un sogno di ricchezza e modernità cui ogni rumeno tende, senza conoscere appieno le contraddizioni, le difficoltà italiane. Se sei italiano tu sei il benvenuto e trattato da ospite di gran riguardo. L’ospitalità rumena è sincera, immediata: in Transilvania, ad Aiud,  i colleghi o i genitori degli studenti rumeni ci hanno offerto un vino dolce e forte che coltivano nelle loro vigne private e focacce farcite di formaggio o verza davvero fantastiche. Le musiche popolari sono amate anche dai giovani che frequentano corsi pomeridiani di danza e musica, oppure di pittura su vetro per la preparazione delle tipiche icone locali. Esistono ad Aiud e ad Alba Julia centri culturali molto attivi nell’organizzazione di mostre, presentazioni di libri e letture di poesia, lo stesso compagno della nostra collega rumena, Marcela Hădărig, Joan Hădărig, è  poeta. Non mi aspettavo tanta vivacità culturale, soprattutto mi sembra intollerabile che da noi, in tv o sui quotidiani, non si parli mai della Romania, come se non esistesse, o la si citi solo nella cronaca come luogo di provenienza discutibile”.

I progetti futuri

“Il secondo Progetto Comenius approvato è un Partenariato Multilaterale ed è stato presentato per gli anni scolastici 2011-2012 e 2012-2013; esso coinvolge 6 paesi: Italia, Irlanda, Croazia, Germania, Bulgaria, Turchia. L’obiettivo principale è accrescere la consapevolezza di sé, della propria cultura e di quella dei paesi partner attraverso un confronto più o meno diretto con coetanei degli altri paesi. I ragazzi dovranno da un lato riflettere ed aumentare la loro consapevolezza di quelli che sono alcuni aspetti della tradizione culturale italiana, dall’altro entrare in contatto con alcuni aspetti della cultura e delle tradizioni degli altri cinque paesi; durante questi due anni gli alunni dell’Istituto Comprensivo 1 incontreranno gli insegnanti dei cinque paesi che li aiuteranno ad entrare in contatto in modo esperienziale con la cultura e le tradizioni del loro paese; alcuni insegnanti del nostro istituto a loro volta visiteranno i cinque paesi presentando ad alunni e docenti alcuni aspetti della cultura italiana. Inoltre gli alunni italiani potranno incontrare alcuni studenti provenienti da questi paesi e alcuni alunni del nostro istituto effettueranno tre  mobilità: in Irlanda, in Germania e in Turchia. Questo progetto ha inoltre come obiettivo il coinvolgimento di alunni diversamente abili, sia nella fruizione di queste esperienze d’incontro con alunni e docenti dei cinque paesi in Italia, sia nelle mobilità all’estero, al fine di sperimentare nuove e più coinvolgenti strategie d’integrazione e di apprendimento. Sarà una grande soddisfazione far “volare” alcuni nostri alunni diversamente abili! In questi giorni sono arrivati i colleghi bulgari”.

Le attività di preparazione

“Si è lavorato sulla figura letteraria e popolare di Pinocchio. Con la collaborazione di docenti della scuola primaria si è svolto un laboratorio di teatro in lingua (francese, inglese, spagnolo) che ha messo in scena Pinocchio. Abbiamo inoltre lavorato sulle danze popolari e sui cibi. In Germania, a Koln, le nostre insegnanti in missione hanno presentato giochi, lavori multimediali sull’Italia, e hanno preparato la pizza per gli alunni di una  scuola speciale partecipante al progetto”.

 "Riforma della scuola" n°16

venerdì 31 agosto 2012

Lavorare per progetti



Giuliana Santarelli


Il progetto didattico

Frabboni definisce il progetto didattico1 come “una strategia didattica che parte dall’allievo. Il docente, in parallelo all’unità didattica, inserisce nella sua programmazione argomenti multidisciplinari mutuati dal curricolo, dalla cultura antropologica, da fatti-problemi-fenomeni del presente storico”. Il progetto gode di autonomia nella prassi educativa; ha una struttura ma è flessibile, è fondato su alcuni capisaldi metodologici che gli assicurano una specificità formativa.
Il progetto didattico è un itinerario formativo multidisciplinare, costruito su argomenti che collegano le discipline e che muovono da situazioni che scaturiscono dall’allievo, dai fatti e dagli oggetti della sua esperienza, da segmenti significativi del suo vissuto. Il progetto non viene originato dalle Indicazioni Nazionali per il Curricolo, ma è una reinterpretazione, fatta dai docenti, in chiave multi-interdisciplinare. Il progetto didattico ha contenuti stimolanti e sistematici, in funzione della maturazione di competenze metacognitive e di produzione/rielaborazione culturale, fondata su competenze classificate in chiave tassonomica come relative all’analisi/sintesi e /o all’intuizione/invenzione. I suoi obiettivi, analizzati con l’uso di strumenti tassonomici, hanno una natura cognitiva superiore, convergente e divergente. Essi corrispondono alla particolarità della strategia, del metacognitivo, del percorso dell’apprendere all’apprendere, itinerario didattico che pone l’accento più sulla messa a punto di modalità di formazione autonoma della conoscenza più che sul numero di nozioni effettivamente riprodotte al termine del percorso stesso. Gli obiettivi non possono essere definiti tutti prima della sua conduzione, vengono ipotizzati in termini di script, come canovaccio da riformulare e formalizzare in itinere e sono definitivamente formalizzati al termine dell’itinerario. Gli strumenti procedurali del progetto didattico, le tecniche e i materiali appartengono al repertorio delle strategie dell’apprendimento non-individualizzato. Essi prevedono metodologie della ricerca, della ricerca-azione, delle diverse forme del lavoro di gruppo, della discussione/conduzione collettiva di esperienze. Le attività si svolgeranno in un clima di elaborazione di gruppo, con modalità democratiche aperte al contributo di tutti. Gli spazi prevedono momenti significativi del fuori-scuola; l’ambiente è il “libro di testo”, “vocabolario” dell’esperienza dell’alunno. I tempi si sviluppano in modo flessibile a causa dell’imprevedibilità di svolgimento connaturata alle caratteristiche stesse della maggior parte delle strategie non-individualizzate che impiega. Le modalità di valutazione utilizzate evidenziano alcune specificità: controllo del raggiungimento degli obiettivi attraverso prove valutative quasi esclusivamente di tipo “aperto” o “semistrutturato” (rispettoso delle originalità dell’allievo) e cura di valutare/documentare il percorso e il risultato complessivo del lavoro del gruppo. Tutti i progetti contengono obiettivi, contenuti, metodi, esperienze e valutazione. La valutazione formativa non può essere sempre prevista, andrà utilizzata in particolare sugli obiettivi di natura elementare e intermedia e per l’individuazione puntuale di eventuali problemi. Le categorie concettuali del progetto in ambito pedagogico sono possibilità, responsabilità, imprevedibilità, scelta, rischio, intenzionalità, obiettivo, operatività, tensione. Esistono diversi stili e modelli di progettazione, ma tutti ugualmente sottintendono un’ipotesi di lavoro e la sua realizzazione nell’arco di un tempo che ne vede il procedere. Esistono anche diverse tipologie di progetto: per obiettivi, per mappe concettuali, per situazione, reticolare/multimediale, per sfondi, per ricerca, e la postprogrammazione. Questi diversi modelli mettono in luce una dimensione e ne lasciano in ombra altre, per questo ciascuna di esse ha pregi e limiti. Il primo dei progetti qui riportati si può attribuire alla postprogrammazione. È questo anche il titolo di un libro che aprì a suo tempo (siamo nel 1991) una vivace discussione da parte di esperti e pedagogisti sulla progettazione. Il libro proponeva questo interrogativo: “La programmazione è ancora attuale? Si possono prevedere e praticare modelli di progettualità che la sostituiscano?”. Ne è autore Gabriele Boselli, di Savignano sul Rubicone, allora Ispettore Tecnico del Ministero della Pubblica Istruzione di Pesaro.
Si dà di seguito il racconto di un progetto ispirato a tale idea di progettazione e, per concludere, la documentazione della fase conclusiva che caratterizza un altro progetto già descritto nel 2010, realizzato presso la scuola primaria G.P.Costa di Bologna. Entrambi i progetti, pur con ispirazioni diverse, condividono nelle intenzioni e nelle diverse fasi, la volontà di collaborare con tutte le componenti della scuola, il ricorso alle risorse del territorio, una relazione positiva con le famiglie, un clima positivo e un contesto ricco di opportunità.

IL PAESE RITROVATO
di Loretta Buda
Gatteo è un piccolo paese dell’entroterra romagnolo, caratterizzato da tre realtà ben diverse, sia dal punto di vista economico che culturale. Gatteo capoluogo presenta un’economia prevalentemente agricola e aziendale, di conseguenza pochi sono i luoghi di aggregazione, soprattutto per gli adolescenti. Ricco di tradizioni storiche e beni culturali come il Castello malatestiano del 1200, l’Oratorio San Rocco del 1400, il Campanile di Sant’Antonio Abate del 1600-1700, i numerosi borghi caratteristici stanno scomparendo sotto l’azione omologatrice dei nuovi e insediamenti urbani.
Sant’Angelo di Gatteo è invece prevalentemente agricola, ma gode della presenza di fabbriche, una popolazione eterogenea e quindi una realtà economica più vivace e stimolante sul piano produttivo e sociale.
Gatteo a Mare rientra invece in qui cento chilometri di costa di quel mare “inventato” per i turisti che viene banalmente definito “divertimentificio”. Il diametro della piadina, la quantità delle discoteche lo inseriscono in quella striscia costiera di 120 chilometri che va dalle colline marchigiane fino al ramo più meridionale del delta del Po.
Abbiamo dei vicini importanti come San Mauro Pascoli e Savignano sul Rubicone, con i quali è stata istituita l’unione dei comuni del Rubicone.
Su questa tradizione storico-culturale abbiamo costruito a scuola dei percorsi di lingua italiana dall’a.s. 2001 al 2006. Questa tradizione nasce da quando la scuola appartiene al circolo didattico San Mauro Pascoli-Gatteo, è durata negli Novanta ed è confluita nel IC di Gatteo quando è stato istituito nel 2007, in cui cercheremo da quest’anno di avviare attività e progetti in verticale con la scuola secondaria di primo grado. Già esistono progetti ed esperienze significative con la scuola dell’infanzia.
Negli anni Ottanta nasce, con la collaborazione dell’ispettore Boselli, allora direttore scolastico del nuovo circolo, di Melucci e Seganti, insegnanti distaccate dal servizio e assegnate alla sperimentazione nella scuola dell’infanzia, l’esperienza che ha caratterizzato e animato per decenni, fino ad oggi, lo scenario pedagogico e culturale del territorio.
La tradizione del pensiero di Boselli è proseguita con la dirigente Marina Seganti. In quel periodo il circolo didattico si è contraddistinto per il contributo culturale nella ricchezza di proposte, per la vivacità progettuale e una riflessione pedagogica che è riuscita ad anticipare i bisogni e le necessità della scuola. Nel circolo si cercava di rispondere sia alle necessità che alle potenzialità dei bambini, dei genitori, del territorio, delle insegnanti. Bisogna sottolineare la vivacità intellettuale che caratterizzava gli insegnanti e il movimento culturale che esse aprivano con la loro azione in quel periodo. Le scuole di Gatteo, come quelle di San Mauro Pascoli sono diventate protagoniste di un’attiva/stimolante progettualità sulle seguenti tematiche: valutazione, intercultura, antropologia,
agio-disagio, libro/biblioteca /lettura, disabilità, ricerca territoriali tradizioni /memoria, progetti e ricerche promossi dal ministero, progetti interistituzionali con enti e territorio, b come biblioteca – il paese ritrovato.
Questi progetti sono stati selezionati e finanziati dal GOLD INDIRE, programma INVALSI per documentazione nella scuola con il sistema GOLDLe scuole che, nell’elaborazione dei loro progetti, si sono impegnate a valorizzare ogni soggetto e quindi a centrare la didattica sulle sue attitudini e potenzialità sia del singolo che del gruppo, hanno messo al centro la didattica della valorizzazione del paese e delle sue risorse con l’allestimento di laboratori e l’organizzazione di occasioni ed eventi in sinergia con il territorio. I titoli di seguito testimoniano la volontà di agganciare sia il territorio coi suoi protagonisti che le tematiche più importanti della didattica. La progettualità di questa scuola si caratterizza per condivisione e partecipazione col territorio, dove le famiglie fanno da tramite fra le due realtà. Si riporta di seguito un progetto.

DAI BISOGNI…AI SOGNI
Il primo significato di formazione è dare forma, creare. Un’attività fondata su una forza invisibile che rende ogni creatura visibile secondo un proprio stile.” J. Hillman

La volontà che ci sollecita ad intraprendere INSIEME, il presente percorso educativo, è mossa dalla consapevolezza di consolidare il patto di reciprocità fra scuola e famiglia; un’ intesa che ci permette di acquisire certezze basate sull’esperienza relazionale e affettiva “quotidiana” dei bambini, validate dal progetto di vita (sogno) che i genitori fanno con i propri figli e figlie. Conoscendo, infatti, i bisogni /desideri dei bambini/bambine possiamo comprendere i loro sogni, condividerli e crescerli .INSIEME.
Quindi la collaborazione tra scuola e famiglia diventa un momento centrale per la promozione del successo formativo; un successo ottenuto, sia con il conseguimento di obiettivi d’istruzione e conoscenza, quanto con l’acquisizione di codici di comportamento maturati grazie alla condivisione di valori fra l’istituzione e le famiglie.
Il presente percorso si connota come un lavoro progettuale che prevede azioni/attività mirate a produrre effetti di cambiamento e trasformazione; una progettazione partecipata
DESTINATARI - Alunni e alunne della classe 4^ della scuola primaria De-Amicis di Gatteo
OBIETTIVI FORMATIVI: creazione di una comunità educante, costruzione di senso fra ciò che si fa nella comunità di apprendimento e ciò che si fa nel proprio ambiente naturale (casa, territorio,...) progettazione di attività formative da realizzare insieme scuola- famiglia, creazione di tempi e luoghi di ascolto partecipato per favorire la crescita armonica e la prevenzione del disagio, riconquista di un luogo di identità sociale.
OBIETTIVI SPECIFICI: condividere la progettazione e la realizzazione di azioni educative da parte dei docenti e dei genitori, consolidare l’appartenenza alla propria comunità locale per la costruzione di un patto educativo, valorizzare e connettere le opportunità formativo – culturali esistenti nel territorio, rivalutare la scuola come e luogo di crescita e rielaborazione, vivere la classe per creare un clima di benessere relazionale e favorire esperienze capaci di far riflettere ogni bambino/bambina sulla necessità di rispetto e di ascolto dell’altro, riconoscere, accogliere, condividere regole per giungere ad un comune senso di responsabilità
ARTICOLAZIONE DEL PROGETTO
  • aderire al progetto ministeriale di “Sperimentazione cooperazione fra scuola e famiglia.”
  • costituire un gruppo i ricerca;
  • elaborare un progetto di circolo
  • costituire un gruppo di lavoro di insegnanti e genitori;
  • pianificare incontri mensili di lavoro;
  • programmare incontri assembleari con tutti i genitori ;
  • organizzare momenti conviviali
  • costituire un gruppo di lavoro di insegnanti e genitori;
  • pianificare incontri mensili di lavoro;
  • programmare incontri assembleari con tutti i genitori ;
  • organizzare momenti conviviali
SOGGETTI IMPLICATI NELL'ATTUAZIONE: Alunni/alunne, genitori, collaboratori scolastici, esperti
PERCORSI EDUCATIVI, PERCORSI DIDATTICI
I percorsi evolvono grazie all’incontro delle insegnanti con gli esperti e con i genitori.
La declinazione delle proposte in Unità di Apprendimento, sarà di pertinenza delle docenti.
I temi che orienteranno il team docente nella definizione dei percorsi, sono rappresentati dalle parole, emerse durante gli incontri: autorità/autorevolezza, emotività , disagio, responsabilità, dignità, convivenza civile, rispetto, competitività, appartenenza, identità, comunità locale.
AZIONI DA REALIZZARE: incontri con l’esperto
CONNESSIONI: Progetto Dialogo
PROCEDURE DI ATTUAZIONE
  • Incontri assembleari volti alla: socializzazione, riflessione e confronto delle opportunità formative rilevate
  • Organizzazione di momenti conviviali
  • Partecipazione agli incontri con gli esperti e successivi incontri per il confronto, riflessione e individuazione di atteggiamenti adeguati
  • Adesione a progetti di solidarietà.: adozioni a distanza.
STRUMENTI DI VERIFICA: riflessioni confrontate con le colleghe, i genitori e gli esperti,
osservazioni sistematiche, mirate e partecipate per cogliere gli aspetti significativi di ogni situazione scolastica, vedere e leggere "gli elementi emergenti” più come segni di presenze originarie che come differenze per comprendere le dinamiche relazionali
VALUTAZIONE: incontri mensili con le insegnanti coinvolte nel progetto, i genitori del gruppo di lavoro, il dirigente scolastico e gli esperti, socializzazione dell’esperienza a tutti i genitori che diventerà un ulteriore momento di verifica/valutazione, interrogazioni/riflessioni/interpretazioni soggettive e intersoggettive, confronto con gli insegnanti del gruppo di ricerca G.O.S., documentazione.

SETTIMANA DELLA LETTURA - 25 al 29 ottobre 20102 - Scuola Primaria G.P. Costa del 5° CD Bologna
di Ilde Castellari

La scuola primaria G.P.Costa di Bologna si impegna da anni sull’attività di lettura ottenendo risultati sorprendenti in libri il cui ricavato è devoluto all’Associazione Margherita. Le attività di questi bambini non sono fine a se stesse ma finalizzate a una responsabilità sociale che si espande nel mondo. Ragazzi e genitori sono autori di testi e illustrazioni di libri. Tutto il plesso è coinvolto nei progetti, infatti sono stati scritti e illustrati 3 volumi di poesie. Ilde Castellari, incaricata presso la biblioteca della scuola, con la collaborazione della coordinatrice di plesso insegnante Milena Baldi e il supporto informatico dell’insegnate Brunella Puppoli, ci ha inviato questo resoconto sulla Settimana della lettura.
Obiettivi dell’iniziativa:
- promuovere e rinforzare l’interesse per la lettura
- potenziare e valorizzare l’uso della biblioteca scolastica
- favorire momenti di scambio e di relazione tra i ragazzi, tra i ragazzi e gli adulti.

Scambi di letture

Le classi quinte hanno fatto dono delle loro esperienze di lettura ai piccoli di classe prima. Così i ragazzi di quinta A hanno presentato ai loro compagni di prima A “Prisca dal lungo viaggiare”, un bel racconto da loro stessi letto in seconda e realizzato su un grande librone (con tecniche di pittura, collage, utilizzo di materiali riciclati). I ragazzi di classe quinta B hanno invece letto e animato, per la prima B, “Dove sono le parole”, di Guido Quarzo, testo che costituisce un primo approccio divertente alla storia delle parole.
I bambini di quarta hanno scelto di scambiarsi letture di Quarzo, illustrando ai compagni i cartelloni realizzati: “Chi trova un pirata trova un tesoro” (quarta A), “Il libraio sotterraneo”(quarta B).
Anche la terza A ha proposto, ai compagni di terza B, la lettura animata di un testo di Quarzo, “Chiaroscuro”, viceversa la terza B ha letto favole leggende e miti dal mondo. Infine i bambini di seconda si sono scambiati reciprocamente letture di fiabe.

Le letture degli ospiti

Alcune delle persone coinvolte avevano competenze specifiche nel campo del teatro, altri erano “semplicemente” bravi lettori, tutti con un gran desiderio di apportare il proprio contributo ai nostri alunni (non necessariamente nelle classi dei propri figli). Gli interventi hanno seguito lo schema previsto, con qualche variazione in corso d’opera.
Lunedì 25 è intervenuto Pier Paolo D’Alessandro (per la terza B e la quinta A) ex alunno della scuola, che sta frequentando l’Accademia teatrale di Milano. Si è presentato ai ragazzi con la maschera da “vecchio” della commedia dell’arte. Ha quindi parlato della tradizione della maschera e ha impersonato Balanzone, spiegando le caratteristiche del personaggio.
Tante naturalmente le domande dei ragazzi sul teatro, sull’emozione del palcoscenico, sulla difficoltà degli studi.
Nel pomeriggio due mamme, una delle quali bibliotecaria di professione, hanno presentato in classe quarta B una serie di testi di autori per ragazzi, leggendo in particolare “Le avventure del topino Desperaux” di Kate Di Camillo. Un papà invece, attore di professione, ha affascinato i bambini delle prime con una serie di fiabe tradizionali “Pizzica mi Pizzica me” – “Eva e il re dei venti” – “La bellezza del re” e con “Il mostro peloso” della Bichonner.
Martedì 26 Francesca Orsoni, ex alunna della scuola, ha letto “Storie di strani libri” di Guido Quarzo, ai bambini di quarta A.
Nelle classi terza B e quinta B letture di Rigoni Stern da “Il sergente della neve” e da “Il libro degli animali”: su questo ha dato il suo contributo una “famiglia lettrice” formata da Eleonora, ex alunna della scuola, la mamma Cristina e il nonno Alberto Bonora.
I bambini di seconda hanno ospitato (martedì, mercoledì e giovedì pomeriggio) diversi ex alunni della scuola, di 11 e 12 anni: Federica Mongiorgi, Roberto Barbone, Ivan Corsello, Clara Bonatti, Mensur Berisha che hanno letto brani di Rodari, Piumini, Pitzorno, fiabe da tutto il mondo, fiabe dei Fratelli Grimm…
Il mercoledì pomeriggio vi sono state anche letture da parte di un nostro amico animatore (per la classe quarta A) che ha presentato brani da I tre moschettieri e da Il piccolo Principe.
Altri interventi esterni ci sono stati il giovedì pomeriggio. Jacopo Melloni, ex alunno della scuola, già di 18 anni, che ha letto alle classi di terza brani da Harry Potter(perchè, come lui stesso ha detto, era stata la sua passione quando aveva 8-9 anni). Una mamma ha letto in quinta B alcune favole da “Il treno dei diritti” dando l’opportunità ai ragazzi di riflettere sui diritti dell’infanzia.
Il giorno più atteso (29\10\2010)
Abbiamo scelto di proporre l’autore Guido Quarzo principalmente per due motivi:
le sue grandi capacità di parlare ai ragazzi di temi importanti attraverso il linguaggio della fantasia e le sue capacità di giocare con la lingua, di grande stimolo per motivare nei ragazzi un uso creativo della scrittura. Scrittore di romanzi, racconti e poesia per l’infanzia, è nato a Torino dove ancora oggi vive e lavora. Per molti anni è stato maestro di scuola elementare e si è occupato anche di teatro per ragazzi, organizzando spettacoli e laboratori. Ha iniziato a pubblicare libri per l’infanzia nel 1989 e ha vinto importanti premi letterari. Nel 1999 ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente alla scrittura.
Per organizzare al meglio l’incontro con l’autore, gli alunni sono stati divisi in tre gruppi (due nel mattino, uno nel pomeriggio). La scuola, formata da 10 classi, ha partecipato interamente: abbiamo ritenuto opportuno infatti coinvolgere anche i nuovi arrivati di prima, facendo loro vivere un’esperienza significativa sul piano educativo e didattico nella fase iniziale del loro inserimento a scuola.
L’evento, tanto atteso, non ha certo deluso le aspettative. In classe, nelle settimane precedenti, gli alunni avevano fatto, e\o ascoltato, letture di testi dell’autore. Alcune classi avevano preparato delle letture animate che, come già detto, hanno presentato ai compagni durante la Settimana.
Guido Quarzo ha letto alcune delle sue storie, affascinando i ragazzi grazie alla sua arte di uomo di teatro. Poi, ci sono state le interviste. Molte le domande poste dagli alunni, sia di carattere generale sia più specifiche su alcuni racconti da loro conosciuti. Qui ne riportiamo alcune.
Ricorrente è nei diversi gruppi il tema del come e perché si diventa scrittori.
- L’idea di diventare scrittori- afferma Quarzo- può nascere solo se si è buoni lettori. A forza di leggere viene voglia di provare anche a scrivere. La lettura è come un giocattolo: ti diverte a tal punto che decidi di smontarlo per vedere come funziona, per poi provare a ricostruirlo. Scrivere non è quindi frutto di spontaneità, ma di un attento lavoro di rielaborazione, che richiede tempo, spesso lentezza, prima di arrivare al prodotto finale. Ciò vale anche per i vostri testi. Il consiglio principale che vi do per scrivere bei testi è quello di leggere tanti libri.
- Come ti vengono in mente le storie? – chiedono i ragazzi.
-Le storie nascono dalle cose che succedono a me e agli altri. Mi viene un’idea, la scrivo, poi la rielaboro e la amplio man mano.
A questo proposito vale la pena ricordare come Quarzo nelle sue storie sappia intrecciare realtà e fantasia con grande equilibrio. Anche l’avventura destinata ai ragazzi, se ha un carattere più realistico, non può avere un finale edulcorato, tanto per accontentare il lettore. Questo l’ha ben spiegato, rispondendo alle domande dei ragazzi di quinta riguardo a “Amico di un altro pianeta”.
Così il linguaggio, che deve essere contestualizzato al racconto. Un racconto di carattere realistico
ammette, ad esempio, anche le parolacce, che fanno parte della nostra realtà.
Altra domanda: come fa una storia a diventare libro?
Quarzo ha risposto spiegando quegli elementi “scontati” per noi adulti, ma non per i ragazzi: il ruolo della casa editrice che acquista il testo dell’autore e ne cura la stampa, la rilegatura, l’illustrazione e la distribuzione (tutte cose che l’autore da solo non può fare).
Altre curiosità dei ragazzi hanno riguardato: il primo libro scritto e l’emozione provata nel vederlo pubblicato, quanto tempo fa Quarzo ha cominciato a scrivere.

La nostra valutazione

Valutazione senza dubbio positiva da parte nostra di tutta la Settimanagli alunni l’hanno vissuta
con entusiasmo, impegnandosi al massimo sia nelle letture verso i compagni, sia nell’ascolto di chi ha letto le storie per loro. Vi è stata anche una buona risposta da parte dei genitori e degli amici (in particolare ex alunni) che hanno aderito all’iniziativa, collaborando direttamente alla sua riuscita. Si è trattato di un bel modo di aprire la scuola all’esterno e di valorizzare al meglio le risorse disponibili

Note

1 L’excursus sul progetto didattico è tratto dalla documentazione relativa al laboratorio condotto dalla dott. Nadia Bonora a Scienze della Formazione Primaria, “La progettazione nella scuola primaria”.
2 La scuola primaria G. Costa, già nell’a.s. 2010, aveva collaborato sulla rubrica Essere insegnanti, con l’accordo di presentare, l’anno successivo, l’iniziativa di lettura.

Riforma della scuola n°15

sabato 30 giugno 2012

Dialogo a due voci sull’eredità del Risorgimento e la scuola


Giuliana Santarelli,  in dialogo con Tiziana Pironi 

Santarelli:
Lo stato italiano, fin dalla sua nascita, eredita problematiche dal dibattito risorgimentale. Il Risorgimento trae origine dal movimento europeo di rinascita intellettuale e politica che prese forma nell’Illuminismo e nel Romanticismo. In questo periodo ebbero il via i primi tentativi dello spirito critico nei confronti dei fenomeni sociali, mentre le scoperte scientifiche consentirono agli uomini di conseguire un controllo prima solo pensato sulla natura, problema che si impose come cruciale per il tempo moderno. L’idea di avere più potenza per via dello sviluppo scientifico e che questo avrebbe potuto rappresentare un valore per tutti gli uomini, aprì la strada al tentativo di esserne consapevoli mediante la forza e l’azione del pensiero, mettendo da parte vecchie passioni e annose questioni più idonee a dividere anziché a sostenere uno sforzo comune. La ragione in questo momento appare una voce in campo etico per l’azione critica che si propaga anche verso le relazioni umane e le tradizioni culturali, per non alimentare lo iato già profondo fra tecnica e vita sociale, su cui la prima poteva avere la meglio. Il motto mazziniano Pensiero e azione sembrò indicare in Italia la necessità di riorganizzare il corpo sociale alla luce dei nuovi ideali.

Pironi:
Non va sottovalutato che il problema vero del Risorgimento è la formazione dell’unità nazionale e dunque di una coscienza nazionale. Proprio per questo si rivela di primaria importanza l’esigenza di costruire una classe dirigente. Infatti, per i liberali italiani senza classe dirigente non c’è coscienza nazionale, senza coscienza nazionale non c’è la nazione, senza la nazione non c’è una vita sociale. In questo momento, non dobbiamo dimenticare il decisivo apporto dei cattolici liberali, per i quali – basti pensare a Rosmini e a Gioberti – non vi è incompatibilità tra civiltà e religione, istituto religioso e istituto civile. Entrambi partecipano a una stessa vita ideale, data dai valori comuni e universali della civiltà cristiana. Ogni cambiamento non può che passare attraverso la formazione di una classe dirigente che, in quanto classe dei “migliori”, intesa come aristocrazia elettiva di talenti naturali, sappia assumere e mediare le opposte e molteplici istanze in una forma politica omnicomprensiva, rappresentata dall’istituto monarchico e dalla Chiesa. E’ infatti per loro fuori discussione che alla Chiesa debba essere assegnata una guida morale superiore quale espressione concreta e visibile del cristianesimo, che riassume l’unità ideale del mondo.
Comunque, per tutti i liberali il primo problema consiste nella formazione di una classe dirigente, che deve essere costruita tramite un’educazione/istruzione inevitabilmente elitaria. Basti ricordare le posizioni di Cavour e di De Sanctis, per i quali il popolo è immaturo per l’autogoverno: sono pertanto necessari due livelli di istruzione (elitaria e popolare), per cui la cultura popolare dovrà preparare esclusivamente i lavoratori a svolgere una funzione produttiva.
Per i democratici, invece - in modo particolare per Mazzini – è necessario porre la giusta dialettica fra diritti e doveri, onde attivare lo sviluppo della coscienza nazionale e civile. A giudizio dell’Apostolo genovese l’istanza universale della democrazia esige l’attuazione effettiva dell’uguaglianza politica e giuridica fra tutti i membri del consorzio civile, la quale esclude la preminenza del diritto individuale sul dovere collettivo. Consiste in questo la differenza fra lo “spazio pubblico” del repubblicanesimo rispetto allo “spazio privato” del liberalismo. Il che vuol dire che il dovere è mezzo al diritto: si ottiene il diritto solo realizzando fino in fondo il dovere.

Santarelli:
Le posizioni di Mazzini furono criticate da Carlo Cattaneo perché l’agitatore genovese sacrificava la libertà in nome del principio unitario rappresentato dalla nazione. Per Cattaneo, invece, l’unità non poteva essere separata dalla libertà. Cattaneo può essere considerato, infatti, il più radicale pensatore del liberalismo-democratico in Italia. Per questo il suo pensiero fu accolto dagli internazionalisti liberi da ogni teologia e desiderio di unità autoritaria. In merito alla legge Casati, fu Cattaneo a rivendicare la libertà accademica e l’autonomia organizzativa, vedendo al tempo stesso con favore le attività cooperative ai fini dello sviluppo delle “menti associate”.

Pironi:
Proprio richiamandosi alle istanze dell’autogoverno e della democrazia, Cattaneo rivendicava l’effettiva funzione sociale della scuola in favore dell’elevazione spirituale e materiale di tutti i cittadini. Per questo egli riprende le premesse illuministiche sviluppate da Romagnosi, nel considerare lo Stato un’entità giuridicamente “neutra”, che fra i suoi doveri principali ha quello di garantire la conquista dell’istruzione da parte di tutti, quale premessa fondamentale alla libertà personale.

Santarelli:
Giandomenico Romagnosi indicava nella società comunicante il compito principale dell’incivilimento, compito che fu affrontato nell’Ottocento sia sul terreno delle riforme scolastiche che su quello della trasformazione politica e sociale.
Gli asili infantili, il dibattito su una scuola pubblica elementare gratuita e obbligatoria, l’idea di un’istruzione tecnica secondaria accanto a quella classica e umanistica vanno considerati in stretto rapporto con lo sviluppo del movimento socialista e dell’organizzazione sindacale operaia. L’importanza assegnata all’educazione e alla cultura sta insieme a quella del valore e della dignità del lavoro e dei diritti della classe lavoratrice.
In senso lato, i socialisti erano persuasi che l’educazione popolare potesse eliminare il ruolo subordinato del lavoro del proletariato nella società. I compiti della trasformazione sociale e della conquista culturale vennero concepiti come interdipendenti; la rinascita intellettuale e spirituale della classe operaia fu legata alla sua partecipazione al movimento di emancipazione promosso dal socialismo. Questa è l’origine dello stretto rapporto tra cambiamento socio-politico e cultura popolare che continuerà nel tempo e accompagnerà più di una riforma e movimento culturale. La pura estensione del tempo libero non può porre un rimedio all’effetto svalutante che il lavoro ha sulla esistenza dell’operaio, che così non può accedere alla cultura e che deve contentarsi di surrogati.


Pironi:
Per i socialisti il primo problema non era quello della formazione di una coscienza nazionale e dunque della costruzione di una classe dirigente. La vera questione era per loro l’emancipazione universale del proletariato che, una volta realizzata, dissolverà ogni coscienza nazionale, ogni costruzione nazionale, ogni formazione statale. L’obiettivo da raggiungere era l’internazionale dei popoli e delle culture-civiltà, superando ogni barriera nazionale, ogni formazione statale (sono noti i celebri versi di Eugène Pottier, socialista-anarchico, per l’Internazionale: “C’est la lutte finale: / groupons-nous, et demain, / l’Internationale/ sera le genre humaine”). Di qui, fin da subito, la netta incompatibilità fra socialisti e liberali anche sui temi scolastici.

Santarelli
Nell’ultimo decennio del secolo diciannovesimo il socialismo era vissuto dalla classe dirigente italiana come una realtà minacciosa. Il Partito dei lavoratori italiani fu fondato a Milano nel 1891; l’anno seguente ci fu il congresso di Genova e nel congresso di Reggio Emilia, nel 1893, i socialisti definirono il loro programma, chiamandosi Partito socialista dei lavoratori italiani e nel ’94 Partito socialista italiano. Il periodo 1891-1900 si può definire il più grande per il partito socialista, che si battè contro la politica autocratica della monarchia e del governo. In quel periodo i socialisti rappresentavano l’avanguardia, il progresso, la difesa delle masse oppresse, la nuova cultura. Nel 1901, con l’avvento di Giolitti al potere, l’ala riformista del partito, capeggiata da Turati diede il proprio appoggio a una politica di riforme.
In merito al problema scolastico, i socialisti si limitarono a chiedere per la classe operaia un’istruzione elementare e post-elementare meglio organizzata che in passato; ma in questo modo essi collaborarono a mantenere a un basso livello la cultura popolare, conservando l’antica divisione di due classi sociali con stili di vita e educazione diversi. L’obiettivo è comunque quello di inserire l’opera educativa nella situazione culturalmente arretrata a lentissima evoluzione dell’Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.

Pironi:
In questo momento, all’interno del partito socialista si rivelano due “anime”, destinate a darsi sempre più battaglia fino ad aprire la strada al fascismo: da una parte la linea espressa dal riformismo turatiano, intenzionata a trovare una convergenza tra il proletariato e buona parte del ceto medio, favorevole a un vasto programma di riforme sociali; dall’altra, la linea espressa dal massimalismo che vede le forze lavoratrici e le forze intellettuali in forte antagonismo tra loro.
Sul piano delle riforme, non va però dimenticato il contributo dei socialisti per il miglioramento delle condizioni dell’istruzione di base; essi contribuiscono in modo determinante al passaggio della scuola elementare dalla gestione comunale allo Stato (Legge Daneo-Credaro, 1911); per non parlare della battaglia, condotta a più riprese, soprattutto da parte delle insegnanti socialiste, per il superamento della visione filantropico-caritatevole degli asili infantili, chiedendo il loro passaggio al Ministero della Pubblica Istruzione, nel pieno riconoscimento della loro funzione formativa.
In merito alla questione relativa all’interesse prevalente dei socialisti nei confronti dell’istruzione popolare e professionale, va rilevata la significativa posizione del filosofo marxista Rodolfo Mondolfo, che si oppose con forza a una scuola fondata sulla divaricazione tra due culture (popolare e aristocratica). Per questo, egli entrò nel vivo del dibattito scolastico, in età giolittiana, proponendo una scuola media unica, senza latino, valorizzata nella sua funzione formativa, aperta a tutti e non più differenziata in più indirizzi. La sua prospettiva, avanzata agli inizi del 900 anticipò la legge del 1962 sulla scuola media unica obbligatoria.

Santarelli
In queste vicende si mostra evidente la tradizione culturale laica italiana. L’esigenza di libertà ed autonomia sta insieme a quella dell’unità, dell’universalità, dell’internazionalismo. L’affermazione di un ideale politico e educativo unisce le istanze di unità e libertà, di universalità e autonomia e costituisce uno dei motivi più significativi del pensiero laico dopo l’Unità d’Italia. Sulla scia di Cattaneo, Gaetano Salvemini, sostenitore della libertà, ritiene che l’idea di “nazione” mazziniana la sacrifichi in nome del principio dell’unità. Salvemini, che riprende da Cattaneo l’idea che l’unità è fatta di diversi e non può separarsi dalla libertà, diede un forte contributo al dibattito scolastico in Italia, soprattutto all’interno della Federazione Insegnanti Nazionale Scuole Medie.
Agli inizi del secolo scorso gli insegnanti delle scuole secondarie si associano nella FINSM e rivendicano la loro autonomia in campo educativo e organizzativo. Ne fanno parte, tra gli altri, studiosi come Salvemini, i fratelli Mondolfo, Giovanni Gentile. Proprio questi afferma che “la scuola deve essere una, e uno il programma come uno è lo spirito”. Gentile pensava ad una scuola che favorisse nella mente dei suoi giovani una visione unica e comune del mondo, dove l’unità precede e condiziona la libertà, e trova nelle scuole classiche e nelle università il suo centro, rivolgendosi perciò non a tutti ma a pochi; al popolo invece si addice un’educazione impartita dalla religione e dalla Chiesa, che così prepara l’intervento dello Stato con le sue scuole. Così Gentile scrive in Scuola e filosofia (1908):
“Lo Stato ordinatore delle scuole dev’essere filosofo. Ad esso spetta l’ufficio di fissare il programma delle scuole, in cui si riflettono gli interessi generali della nazione. Lo Stato insegna perché è, e in quanto è Spirito…quello spirito che è assoluta universalità, negazione di ogni arbitrio e volere neutrale”.
Secondo questa concezione lo Stato è coscienza della nazione e assume attributi etici. Di fronte allo Stato e al Governo che lo rappresenta, l’individuo non ha diritti, deve soltanto obbedire e credere. Per contro, Gaetano Salvemini riaffermava, sulla scia di Cattaneo, il metodo della ricerca scientifica, l’educazione alla libertà, l’autonomia amministrativa e didattica della scuola. Una scuola libera da ogni dogmatismo e profondamente laica si poneva come la base per un’educazione all’umanità in una federazione internazionale di popoli liberi. Per unità Salvemini intendeva la collaborazione dei diversi che favorisse un clima di tolleranza, la libera comunicazione e la ricerca, “scontro cortese e sereno di pensieri diversi”. Compito principale della scuola per Salvemini è educare l’alunno ad essere individuo libero e pensante, non di insegnargli una dottrina. A fondamento della scuola deve stare il rispetto degli alunni in vista del loro libero sviluppo e non si può attuare questo suo compito sotto il controllo ideologico delle chiese, dei partiti, della burocrazia.

Pironi:
L’approccio metodologico di Salvemini ai problemi risulta fortemente empirista, sperimentalista, antidogmatico: è intrinsecamente connaturato dal senso di provvisorietà delle soluzioni avanzate, che non possono mai considerarsi definitive. Proprio per il suo profondo realismo, sostiene che “la storia non è fatta né dalle moltitudini inerti, né dalle oligarchie paralitiche. La storia è fatta dalle minoranze consapevoli e attive, le quali, vincendo le inerzie delle moltitudini le trascinano verso nuove condizioni di vita, anche contro la loro immediata volontà”. La sua preoccupazione fondamentale resta insomma quella di formare una classe dirigente dall’alto profilo morale, del tutto immune dall’utilitarismo spicciolo, volto al tornaconto personale, tipico “degli specialisti dalle idee ristrette e dai cuori aridi”, bensì nutrito dal “fuoco sacro” del sapere, in vista dell’interesse collettivo, del bene pubblico. Questa posizione si distingue da quella gentiliana: per il filosofo attualista, la classe dirigente dovrà incarnare lo spirito della Nazione, poiché “nella scuola lo Stato realizza se stesso, dunque realizza quella libertà che è valore, selezione, gerarchia”, eludendo quell’interazione tra scuola e società a cui si richiama costantemente Salvemini in prospettiva democratica.
Nella prospettiva di Salvemini è insomma tutta presente la lezione del suo maestro Pasquale Villari, che aveva colto con drammaticità il difficile percorso dell’unificazione nazionale. Emblematiche le parole di quest’ultimo, espresse in una lettera confidenziale al suo amico Roberto Ardigò, nel lontano 1872, che mi sembrano più che mai attuali:
“..Mi parve di vedere in Italia una gran macchina che girava a vuoto e tutti occupati a migliorarla, a correggerne i difetti, senza avvedersi che il difetto era non nella macchina, ma nella forza motrice, non nel corpo, ma nell’anima a cui nessuno pensava..”.

Riferimenti bibliografici essenziali

M. Baldacci, S. Bucchi, F. Cambi, C. G. Lacaita, T. Pironi, Gaetano Salvemini e la scuola, Lacaita, Manduria, 2009.
L. Bellatalla, G. Genovesi, E. Marescotti La scuola in Italia tra pedagogia e politica (1945-2003) Franco Angeli. Milano 2004.
L. Borghi, Educazione ed autorità nell’Italia moderna, La Nuova Italia, Firenze, 1951.
L. Borghi, G. Luzzato, P. Pieri, S. Spellanzon Gaetano Salvemini, Quaderni n. 3, 4 Dicembre 1958, Trimestrale.
F. Frabboni, L’album di famiglia della nostra scuola, in Quaderni. Periodico del Gruppo Consiliare Democratici di Sinistra-Emilia Romagna, n.3, 29 giugno 2010.
E. Garin, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’unità, De Donato, Bari, 1983.
D. Marchi, La scuola e la pedagogia del Risorgimento, Loescher, Torino, 1985.
T. Pironi, R. Mondolfo, Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica dagli inizi del ‘900 alla riforma Gentile, Lacaita, Manduria, 2005.
T. Pironi, Roberto Ardigò, il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, Clueb, Bologna, 2000.
G. Santarelli Appendice, pp 163-184 in F. Frabboni ( a cura di) Idee per una scuola laica, Armando Armando, Roma ottobre 2007.
Tomasi-Catarsi-Ambrosoli-Genovesi-Ulivieri Scuola e società nel socialismo riformista (1891-1926) Sansoni Editore, Torino.

"Riforma della scuola" n°14



venerdì 30 dicembre 2011

Aspettando il 2012. Idee e considerazioni.

Giuliana Santarelli

Le pagine della rubrica “Essere insegnanti” su “Riforma” ci dicono che la scuola può essere raccontata per smontare la diceria dello sfascio, che può darsi un’immagine più dignitosa attraverso le parole dei suoi protagonisti, e allora il racconto di chi vi lavora serve a ritrovare un’epica dell’insegnamento. Noi insegnanti pensiamo che la scuola non possa rinunciare al suo compito di essere un’opportunità per tutti perché essa accoglie e valorizza intelligenze.
In questa rubrica molte maestre hanno scritto oppure hanno rilasciato un’intervista sulla loro attività didattica. Abbiamo raccontato insieme di documentazione, narrazione e lettura, tecniche della scuola attiva, progettazione, autonomia scolastica, sperimentazioni perché, come dice Stefania Maiani nel libro Vuoi differenziARTI? Percorso di riciclo artistico nella Scuola dell'infanzia, IC n. 11 Bologna, Scuola dell'Infanzia Statale “G. Garibaldi”, le maestre si interrogano, e le domande sono importanti. Nelle loro risposte compare, nonostante quel che si dice, la scuola dell’identità, dei percorsi, delle regole.
Abbiamo avuto per anni una situazione di confusione, dove le domande di tanti hanno creato solo caos, perché bisogna avere risposte per le domande, altrimenti esse fanno da cassa di risonanza alle incertezze. Anni di Gelmini, di silenzi, di disorientamento.
Sappiamo anche che c’è sempre qualcuno che approfitta della confusione per occupare un posto privilegiato allo scopo di lanciare idee e teorie prestate o presunte, mascherate da attualità e valori, e la confusione aumenta. Colpita dai tagli, stremata da continue riforme che le hanno tolto centralità e ruolo, la scuola è invece decisiva per il Paese. Copiamo dai paesi stranieri, perché? Rinnoviamo e miglioriamo invece modelli perduti e confrontiamoci anche con orgoglio. La scena attuale è scoraggiante, bisogna innanzitutto ricostruire un rapporto con le nuove generazioni. Oggi la scuola è più povera di persone e di risorse, mortificata com’è ha perso il prestigio di cui ha bisogno. E’ urgente salvare le esperienze pedagogiche di valore, stringere patti con le famiglie e i ragazzi, aprire ad azioni condivise. Serve lanciare una rinnovata alleanza fra i lavoratori della scuola, le famiglie, l’amministrazione, l’università, le organizzazioni sindacali, tutta quella parte di città che ha a cuore i servizi educativi e scolastici e che hanno contribuito a farne grande la storia. Per essere all’altezza di questa tradizione dobbiamo ripensare a come rispondere oggi alla domanda di educazione e di istruzione. Sarebbe importante una forte ispirazione pedagogica capace di garantire la valenza educativa e l’unitarietà degli interventi e di tenere insieme quanti nella nostra città si occupano in senso ampio di scuola. Senza dimenticare l’elogio degli insegnanti, perché la tecnologia non può sostituirli. Spesso sono messi sotto accusa, dal ministro, dai genitori, eppure non possono essere rimpiazzati da un computer, proprio perché sono umani e come tali possono condividere, con i ragazzi, anche il linguaggio del PC. Gli insegnanti che occupano più spazio nella memoria sono quelli che creano un’alta tensione per diventare indimenticabili, da I ricordi mi guardano, Iperborea, uscito il 18 novembre, scritto dal premio Nobel 2011 per la letteratura Tomas Tranströmer. Potrebbe essere un obiettivo, rendersi indimenticabili per gli allievi che incontriamo nel nostro lavoro. Sono state realizzate in città, in quest’autunno, due iniziative che hanno illuminato aspetti cruciali per l’educazione. La prima riguarda il Seminario Internazionale che si è tenuto il 14 settembre nell’Aula Absidale di Santa Lucia “Saperi che servono. La ricerca umanistica e sociale in un’età di riforme”. Patrocinato dall’Università di Bologna, vi hanno preso parte esponenti e rappresentanti della Facoltà di conservazione dei Beni Culturali, Lettere e Filosofia, Psicologia, Scienze della Formazione, Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, Scuola Superiore di Studi Umanistici, Osservatorio della Magna Charta. Il comitato promotore era formato da ricercatori appartenenti a diverse facoltà. Durante i lavori si auspica una contaminazione fra sapere umanistico e tecnologico che porti a non seguire solo quello che è utile. Ėmile Zola fonda la figura dell’intellettuale moderno che parla di qualcosa di non utile. Un moderno pessimismo, arcaico e resistente, anima e sottende il discorso dei relatori nella mattinata, che sottolineano l’inclinazione relativistica della cultura quando non fa posto all’altro e mette al centro dell’attenzione un esasperato “noi” sempre più problematico, sotto la minaccia di una resa immediata e della messa in crisi di valori. Negli interventi dei relatori si auspica un’alleanza necessaria fra studiosi umanisti e scientifici, dove gli umanisti si propongano come mediatori fra le persone fisiche, la lingua, la società. Gli umanisti, formatori dei formatori, appartengono alla scholé, che ha fra i suoi compiti quello di formare al sapere critico di ciò che non serve e che riguarda tutti, a quel sapere umanistico preposto alle domande giuste. Aristotele chiama scholé, scuola, il periodo di vacatio che viene concesso all’infanzia e all’adolescenza degli uomini liberi prima dell’inizio della vita attiva, e durante gli anni in cui le giovani facoltà sono più ricettive. E’ allora che bisogna seminare quel che lieviterà per tutta la vita e che verrà raccolto in un futuro felice proprio della maturità. Spetta dunque alla scuola gettare le basi della maturità libera e civilizzata. Quando si separano i saperi che servono da quelli che non servono si segue una logica utilitaristica, si ubbidisce alla coazione dell’utilità. Le democrazie hanno bisogno di cultura umanistica, di humanitas al sevizio della democrazia, mentre è pericoloso privilegiare ricerche e percorsi formativi che trovano riscontro immediato. Dal Medioevo a oggi la definizione aristotelica della scuola non è mai stata smentita e la democrazia moderna ha voluto estendere a tutti i cittadini la possibilità di godere del privilegio ateniese della scholé. Oggi questa idea generosa non è più oggetto di un’adesione unanime ed entusiasta. A qualcuno la scholé aristotelica sembra un lusso inutile. La scuola utilitaria, al servizio del mercato, serve a procurare un lavoro, non a formare uno spirito libero e critico, a educare un gusto, a risvegliare doti. Altri farebbero volentieri a meno di qualsiasi scuola, sono i padroni di un mercato onnipresente che ha bambini e adolescenti come clienti ed è a portata di mano coi suoi prodotti. In questa nuova scuola si sostituiscono le facoltà mentali naturali con quelle artificiali. Quindi il problema della scuola è grande, urgente. Si tratta forse di umanisti contro utilitaristi come nei secoli andati, con altri nemici, sempre più potenti che prosperano fra di noi? Si invoca da più parti una paideia nuova e antica di cui oggi sentiamo tanto la mancanza. Non stanchiamoci di pensare a come ricostruire il rapporto scuola-università-istituzioni cittadine per una rinnovata circolazione delle idee e dei saperi, saperi che devono necessariamente incontrarsi, e occorre far capire ai giovani che il suolo che calpestano e la città che abitano è nata dall’incontro di queste forze.
Un’altra iniziativa da considerare: Il sistema scolastico regionale alla luce degli esiti dell’indagine PISA 2009. Bologna 7 novembre 2011, Convento San Domenico, Salone Bolognini, Piazza San Domenico 13. Cristina Balboni interviene al posto di Patrizio Bianchi, Assessore alla Scuola, Formazione Professionale, Università e ricerca, Lavoro, Regione Emilia-Romagna.
Il suo intervento fotografa la situazione della scuola nazionale, da cui sono tratti anche i dati di quella regionale. La nostra è una scuola inclusiva che si fa carico di molte problematiche, ma la scuola di questa regione, quando la confrontiamo con quella delle altre nazioni europee, non registra il successo, o meglio, lo registra solo parzialmente perché la situazione è variegata e la formazione dei professori sembra l’anello debole del nostro sistema educativo. Servono azioni di sistema e decisione politica ed educativa, afferma Balboni quando interpreta i dati, in una società che si interroga sul futuro delle nuove generazioni e che deve proporsi in grado di trovare una logica di integrazione di sistemi, perché la qualità degli apprendimenti riguarda tutto il contesto sociale. Balboni indica anche quali sono i compiti dell’Invalsi: misura la posizione relativa di un sistema rispetto agli altri e vale anche per le singole scuole. Invalsi è uno strumento diagnostico poco diffuso, questa è la seconda indagine, alla prima l’Emilia Romagna non ha partecipato, perché la scuola si pone come centro di resistenza. Molti sostengono che non si può valutare, che è una cultura del dato quella che risulta, che la quantità è meno significativa della qualità, che si fa uso di test standardizzati, che il criterio di efficienza non è sempre un pregio. Altri sostengono che siamo figli di una cultura idealista e che la rendicontazione del MPI è scarsa, che l’informazione quantitativa può essere valorizzata e intesa come bene pubblico. La scuola media superiore dell’Emilia Romagna registra un divario troppo ampio fra il liceo e la formazione professionale, divario che conferma l’ineluttabilità di percorsi di studi più bassi per i ceti meno abbienti.
In sede conclusiva si ribadisce: questi dati ci dicono che, per come si realizzano la nostra politica di inclusione e innovazione, ci sono motivi di soddisfazione, ma anche di riflessione. Serve una nuova professionalità degli insegnanti perché i punteggi PISA sono predittori e i dati vanno interpretati. Gli stati che usano meglio la valutazione quantitativa e che tengono all’istruzione si propongono come impegno che tutti gli studenti riescano.

Viviamo in una società dell’insufficienza sul piano economico, ecologico, etico, ha detto di recente il Preside della Facoltà di Agraria Segrè agli studenti per sollecitarli, non solo ad indignarsi, ma anche rimboccarsi le maniche. Viviamo in mondo dove i filosofi discutono e si contrappongono a proposito di intuizione realista e intuizione ermeneutica, confermando che questo mondo non può essere semplicemente compreso con un solo criterio, anzi.
Viviamo in una democrazia che incorpora doveri, diritti e tecnocrazia. Quali sono le domande giuste?
Apriremo un dialogo con alcuni dirigenti, consulteremo riviste, frequenteremo biblioteche.

venerdì 30 settembre 2011

Alcune riflessioni sulla “contro-riforma” della scuola.

Ira Vannini

Il 18 dicembre 2006 viene emanata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio la Raccomandazione relativa a competenze chiave e apprendimento permanente.
Si tratta di un orientamento di estrema rilevanza per tutti gli stati dell’Unione che hanno a cuore la qualità dell’intero sistema di istruzione. Ponendosi nella prospettiva aperta dal Consiglio di Lisbona del 2000, che individuava le competenze di base per l’apprendimento permanente e le strategie per il loro raggiungimento entro il 2010 – la Raccomandazione del 2006 sottolinea l’urgenza di una principale finalità dei sistemi di istruzione: quella di dotare tutti i giovani di competenze fondamentali al fine di garantire loro un autentico diritto alla cittadinanza attiva.
Le competenze chiave che vengono definite all’interno del documento europeo – quali la capacità di comunicare nella lingua madre e nelle lingue straniere, le abilità matematiche e scientifico-tecnologiche, le metacompetenze connesse alle strategie di apprendimento e le abilità in ambito sociale e civile – si pongono come richieste fondamentali anche per il nostro sistema scolastico italiano il quale si trova di fronte a quella che l’OCSE individua come la “sfida dell’equità”. Equità intesa come qualità intrinseca di un sistema di istruzione democratico, capace di garantire a tutti, non solo l’accesso alla scuola e il prolungamento del percorso formativo di base, ma anche e soprattutto elevate competenze, grazie a una scuola e a una didattica che siano insieme “più unitarie e più flessibilmente differenziate”. L’unitarietà del sistema e degli obiettivi da raggiungere costituiscono infatti aspetti imprescindibili di una scuola equa, che sa assumersi la responsabilità – attraverso la realizzazione effettiva di una didattica flessibile – di portare tutti i giovani al raggiungimento di quelle competenze che a livello mondiale sono ormai considerate sostanziali per donne e uomini che vogliano costruire una società più democratica, capace di pensiero critico e di porre un freno a tendenze massificanti e di povertà culturale.
A fronte di ciò, i dati recenti dell’OCSE, in particolare quelli derivanti dalle indagini OCSE/Pisa sulle competenze dei quindicenni, hanno evidenziato che, soprattutto in paesi come l’Italia, i risultati scolastici degli studenti tendono a riproporre, rafforzandole, le disuguaglianze socio-economiche esistenti nella società. I risultati, poi, nell’ambito di competenze di base come la comprensione della lettura o le abilità matematiche, sono fortemente preoccupanti e descrivono ampie differenziazioni interne al sistema scolastico nazionale: non solo tra nord e sud del paese, ma anche tra scuole di “serie A” e scuole di “serie C” all’interno delle singole regioni, e fortemente anche nella nostra Emilia Romagna!
Dinanzi a tali questioni, le scelte della politica scolastica italiana degli ultimi cinque anni si sono poste con un atteggiamento non sempre coerente; più spesso ci sono state disposizioni ambigue di fronte alle sempre più pressanti richieste comunitarie di garantire la qualità e al contempo l’equità del nostro sistema di istruzione. La cosiddetta Riforma Moratti (Legge 53/2003) ha introdotto in modo unilaterale nei curricoli scolastici un’idea forte di personalizzazione, che valorizza e dà enfasi a un diritto alla diversità che, pur fondamentale nella scuola, non può non essere bilanciato da ideali e finalità altrettanto forti connesse al diritto all’uguaglianza.
Il diritto alla diversità, infatti, se da un lato evidenzia la necessità fondamentale di garantire a ciascun bambino la valorizzazione delle sue attitudini personali e lo sviluppo di quelle abilità in cui dimostra di poter eccellere, dall’altro lato porta con sé il pericolo di una completa deresponsabilizzazione della scuola nei confronti dell’impegno nella didattica. Una didattica cioè che dovrebbe sapersi sintonizzare con le diverse esigenze formative e i diversi stili di apprendimento di ciascun alunno, in modo da portare tutti a raggiungere quelle competenze che sono basilari per agire da cittadini nella società e per le quali non esiste alcuna base scientifica che porti a teorizzare la necessità di una predisposizione naturale.
Nel 2007, le indicazioni della Riforma Moratti sono state poste tra parentesi e sostituite da un provvedimento normativo del Ministro Fioroni che ha avuto lo scopo di fornire indicazioni nazionali (Nuove Indicazioni per il curricolo del 31 luglio 2007) per i curricoli della scuola di base in termini soprattutto di traguardi formativi da raggiungere. Insieme ad esse, è stato raggiunto un risultato di portata storica: l’innalzamento dell’obbligo di istruzione ai 16 anni di età, formalizzato dopo lunghi decenni di dibattiti con il decreto ministeriale n. 139 del 22 agosto 2007.
Il merito principale che hanno avuto i provvedimenti del 2007 - nonostante i responsabili del mondo politico e del dibattito pedagogico-scientifico non siano riusciti a comunicarlo adeguatamente e a farne comprendere la vera portata all’interno del mondo della scuola – è stato quello di delineare l’orizzonte necessario di una scuola rinnovata e a dimensione europea, coerente cioè con lo scenario di una scuola equa e di qualità che l’Europa e l’OCSE vanno auspicando sempre più negli ultimi dieci anni. Tali provvedimenti non rappresentano forse un passo risolutivo verso una completa riforma della scuola, tuttavia essi costituiscono una condizione imprescindibile affinché la scuola e coloro che hanno responsabilità politiche e scientifiche nell’ambito dell’educazione possano finalizzare il loro impegno verso una direzione comune, verso una più definita e condivisa “idea” di scuola.
Nel settembre 2008, il quadro descritto è stato purtroppo profondamente scosso dall’emanazione di un decreto legge (il n. 137 del 1 settembre 2008) relativo a “Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università”. Tale decreto, convertito nella legge 169 del 30 ottobre 2008, non sembra a prima vista delineare un coerente disegno innovativo all’interno del quadro precedentemente descritto in quanto non evidenzia una strutturata e organica proposta di riforma della scuola di base; solo introduce una serie di provvedimenti di “restaurazione” che riprendono una serie di modalità del “fare scuola” antecedenti alle normative degli anni ‘70: la valutazione in decimi del comportamento degli studenti della scuola secondaria di I e II grado, la valutazione in decimi nella scuola primaria e secondaria di I grado, la riduzione del tempo scuola, l’insegnante unico nelle classi di scuola primaria.
Tuttavia, ad una lettura più attenta, che tenga in considerazione soprattutto gli immani tagli “economici” previsti per i prossimi anni, emerge più chiaramente il disegno di “riforma” celato dietro questi provvedimenti: un attacco durissimo alla scuola pubblica e alle sue possibilità di realizzare effettivamente la promozione delle competenze degli allievi in un’ottica democratica.
Sancito attraverso l’iter legislativo del decreto-legge, provvedimento governativo utilizzabile in casi straordinari di necessità e urgenza, il decreto 137 viene emanato, non solo senza una previa discussione parlamentare, ma anche senza la possibilità di un ampio dibattito istituzionale all’interno del mondo della scuola e della ricerca pedagogica. L’urgenza, ovviamente, è motivata da scelte di tipo finanziario.
Approvato, con pochi ritocchi, come Legge 169, oggi tale riferimento legislativo è entrato prepotentemente in un quadro normativo costruito con fatica, impegno e competenza negli ultimi 40 anni, a partire dalle innovative (oggi quasi “rivoluzionarie”) normative degli anni ‘70. Esso prospetta una scuola dalle caratteristiche tradizionali, ben lontana dalle innovazioni che le ricerche empiriche nazionali e internazionali sulla qualità dell’istruzione richiederebbero.
Le questioni che tale legge solleva sono molteplici e vengono a deteriorare l’impianto pedagogico di una scuola democraticamente orientata e di una professionalità docente centrata specificamente sui caratteri dell’intenzionalità progettuale. In particolare, la re-introduzione del “maestro unico” nella scuola primaria rappresenta un aspetto paradigmatico di un disegno di autentica “controriforma” di tutta la scuola dai 3 ai 16 anni che, unitamente alle 24 ore di impegno dell’insegnante solamente sulla classe e all’abolizione delle compresenze (anche laddove si prospetta la soluzione del maestro prevalente), disconferma in modo evidente l’idea di una professionalità docente che si qualifica sostanzialmente nella progettazione intenzionale dell’attività educativa e didattica; nel confronto e nella discussione collegiale; nella capacità di riflessione, valutazione e autovalutazione al fine di governare con competenza il curricolo. Negando tutto ciò, l’insegnante “unico” (o prevalente che sia) viene ad essere considerato come un mero esecutore della didattica in classe, non importa se progettata e consapevole oppure casuale, ciò che sembra importare è che non abbia un’idea delle finalità democratiche dell’insegnamento e, anche se l’avesse, non abbia tempi, spazi e condizioni istituzionali per perseguirle e realizzarle.
I rischi dunque che la Legge Gelmini pone all’interno della scuola primaria, e le ripercussioni che essi hanno su tutti i livelli scolastici, sono notevoli. L’avvento dell’insegnante unico, la diminuzione drastica del tempo-scuola, l’impossibilità di proseguire la modalità didattica delle compresenze – unitamente anche alla reintroduzione dei voti in decimi non supportata da alcuna indicazione per la realizzazione di serie prassi valutative di tipo formativo e sommativo – costituiscono un insieme di aspetti che minano alla base le reali possibilità della scuola di operare in una prospettiva di individualizzazione e di promozione democratica di buone competenze per tutti gli alunni. Se si unisce a tutto questo il forte disinvestimento economico ed istituzionale sulla scuola, sulla figura professionale dell’insegnante e sulla sua formazione, ne emerge un quadro di forte preoccupazione.
In risposta a tutto questo, si evidenzia l’urgenza, a livello di società civile, di prendere consapevolezza di come la complessa problematica dell’istruzione ci coinvolga tutti e ci richieda – in questo difficilissimo momento storico, politico e culturale – un deciso impegno al fine di immaginare e realizzare azioni di autentico sostegno alla scuola pubblica. La possibilità di discutere in varie sedi dei problemi della scuola – evitando di sottostare solo alla logica del senso comune o del semplice riferimento alla propria esperienza di scolari, ma promuovendo invece la logica del confronto, della competenza, del rigore metodologico e delle decisioni fondate su dati empirici, del desiderio di approfondire le questioni con senso critico – costituisce oggi una preziosa opportunità e insieme una grande responsabilità per ciascun cittadino.
La progressiva costruzione di una coscienza civile sul concetto di qualità della scuola e sulle finalità costituzionali della scuola pubblica rappresenta oggi un’urgenza fondamentale per la nostra società democratica e, in questo senso, le donne e gli uomini che credono nei valori della democrazia non possono che continuare a svolgere l’importante ruolo di stimolo, di promozione e sostegno di tale dibattito al fine di giungere a prospettare una concreta proposta di rinnovamento del nostro sistema di istruzione e formazione.