mercoledì 26 maggio 2010

Narrare e narrarsi.

Sono trascorsi ormai molti anni da quando Lyotard ha scritto della crisi dei grandi racconti che organizzavano i saperi in maniera organica e gerarchica, a favore di una rappresentazione esaustiva e tranquillizzante della realtà. A prescindere dal loro fondamento antropologico ( pensiamo alle sacre scritture, ai testi di omero), l’uomo moderno ha comunque necessità di narrare. L’emergere dell’orientamento narrativo è stato favorito soprattutto dalla messa in discussione della differenza fra realtà e finzione, materiale e immaginario: ciò che viene raccontato diventa reale, da cui grande interesse per la cultura narrativa e insorgenza di un orientamento narrativo. Un tempo c’erano luoghi devoluti alla narrazione: la piazza, il mercato, l’osteria, il giardino pubblico, luoghi questi che sopravvivono in altre culture o lontano dalle grandi città, dove è ancora possibile incontrarsi perchè gli stili di vita continuano ad avere tempi e ritmi consoni agli incontri, agli ascolti e alle conversazioni gratuite sotto forma di chiacchiere, dove la cultura orale non ha perso del tutto significato.
Nella nostra società il tempo della produzione sopravanza quello della relazione e della narrazione anche a noi stessi. La città è diventata il centro di raccolta e allo stesso tempo di dispersione delle storie umane, nella polis si consuma la consapevolezza di vivere in una società che perde la memoria.

Educazione e narrazione
Per contrastare quanto sta accadendo, diviene importante ridare spazio alle reciproche narrazioni e voce alla propria interiorità, rivestire le parole, le emozioni, le domande che nascono giorno dopo giorno, per recuperare allo stesso tempo la nostra capacità di ascolto. La narrazione riannoda i fili delle relazioni in un mondo che facciamo fatica a decifrare e in cui stentiamo a costruire legami. In più la narrazione aiuta a stabilire legami tra l’eccezionale e l’ordinario e a dare significato all’insolito. La narrazione degli altri si intreccia con la nostra in modo da essere una continua trama che si modifica, che non lascia morire dentro di sé la capacità di vedere e raccontarci il mondo in modo sempre nuovo e affascinante. Si tratta di lasciarsi contaminare dai significati degli altri al fine di creare significati nuovi per ambedue, da ciò vengono ricchezza e varietà. Accettare dentro di sé la convivenza, così ogni incontro modifica il nostro modo di essere, a patto che siamo in ascolto degli altri e di noi stessi. Dice Stefania Maiani della scuola dell’infanzia G. Garibaldi, IC 11, di Bologna, una delle insegnanti che ha partecipato a Indizi, durante il nostro incontro:

Il cuore del mio lavoro è che dentro alla scuola io faccio un viaggio. Ho cominciato con delle convinzioni, poi mi sono lasciata modificare dai fatti, da ciò che accade, ho lasciato che le persone incontrate mi cambiassero. E poi ci sono i bambini. Il valore di questo lavoro coi bambini stranieri ti veste di nuovo, ti dà una visione diversa.
La narrazione si radica nell’esperienza e il recupero dell’esperienza avviene attraverso la narrazione. Esiste un rapporto esperienza-espressione, per cui non è l’esperienza che organizza l’espressione ma viceversa. L’espressione è ciò che per prima dà all’esperienza la sua forma nonché la specificità del senso. L’esperienza ci resta inaccessibile fino a quando non si esprime attraverso il linguaggio. Il significato di un’esperienza è sempre legato a delle emozioni, in parte apprese durante l’educazione, dal contesto culturale di appartenenza e dalle categorizzazioni personali. L’importanza dell’ascolto come caratteristica da recuperare e da educare diventa allora consequenziale.
Bruner ci dice che è la spinta dell’uomo a organizzare la propria esperienza in modo narrativo a far sì che il bambino, nell’acquisire il linguaggio, dia priorità a questo aspetto della conoscenza. I bambini comprendono storie molto prima di essere capaci di parlare.
A scuola, in famiglia, in altri ambiti educativi possiamo fare in modo che gli antichi rituali, come il racconto della fiaba o l’invenzione individuale e collettiva possano aiutare le nuove generazioni ad immaginare scenari non predeterminati, spazi da gestire in modo creativo nel rispetto delle esigenze e delle differenze individuali. Siamo da tempo autorizzati a pensare la narrazione uno strumento pedagogico di grande attualità, essa fonda un modo di essere della pedagogia.

Idee pedagogiche
Pedagogia narrativa va riferito al narrare come educare narrando, inteso come dare un impianto narrativo al percorso educativo, concepire l’educazione non solo come luogo della trasmissione del conoscere, ma anche come ascolto reciproco fra soggetti narranti la cui identità è narrativa. Le ragioni della pedagogia narrativa nella scuola dipendono dalla diffusa domanda di narrazione nella società di oggi per il bisogno di appartenenza, di comunità, allo scopo di ripristinare legami con luoghi, culture, storie. Se non si narra non si scambiano esperienze. L’elemento della diversità riguarda le città attuali e se ne prevede ancora di più in futuro. Una delle sfide delle nostre città sta nel promuovere l’equilibrio e l’armonia tra identità e diversità, tenendo conto dei contributi delle comunità che ne fanno parte e del diritto di tutti coloro che in essa convivono di essere riconosciuti a partire dalla propria identità culturale. Infatti viviamo in un mondo di incertezza che privilegia la ricerca di sicurezza e che spesso si esprime con la negazione dell’altro. I processi di conoscenza ricercano dialogo e partecipazione come rimedi alla mancanza di fiducia.

Il lavoro di documentazione
Nei libri Inventastorie. Narrazioni con immagini e parole. Dalla prima alla terza classe di scuola primaria, a cura di Dora Mattia e Vuoi differenziARTI? Percorso di riciclo artistico nella Scuola dell'infanzia, a cura di Stefania Maiani e Sara Beccari, ci sono tracce delle circostanze e delle situazioni in cui prende avvio l’idea che sarà l’oggetto della documentazione. Le maestre raccontano come sono nati i progetti, quali le metodologie seguite e l’organizzazione della scuola per consentirne la realizzazione. I progetti di cui si parla si realizzano nella scuola di provenienza, coi bambini e i colleghi. Le riflessioni subentrano successivamente, sotto la spinta di sollecitazioni che hanno il compito di riordinare, chiarificare agli altri e a se stessi in quanto educatori il senso delle proprie azioni e aspettative e la narrazione dà spessore culturale e chiarezza alle esperienze. La capacità di scambiare esperienze è a fondamento delle storie didattiche narrate e documentate nei libri che sono usciti dall’ iniziativa di Ri.E.Sco–Laboratorio di Documentazione e Formazione, Comune di Bologna www.comune.bologna.it/istruzione/laboratorio/index.php
Protagonisti sono i bimbi. In un caso, sono le storie inventate dai bambini che, in un lavoro in progress, dalla prima alla terza classe di scuola primaria, giungono dalla scrittura spontanea alla scrittura individuale, nell’altro si tratta di un percorso creativo legato all’arte e al riciclaggio, quindi una storia di oggetti recuperati e trasformati attraverso l’immaginazione dei bambini della scuola dell’infanzia e la fantasia delle maestre.

Scrive Stefania Maiani, la maestra: …pensavamo che in questa fascia di età la proposta artistica potessse essere intesa…come pretesto per esperienze creative e originali, fonte di piacere , immaginazione, sogno…Fare arte come supporto nei processi di conoscenza del sé e delle strategie personali.
…calato nella realtà della scuola, frequentata da molti bambini provenienti da diversi paesi, il progetto ha evidenziato subito le sue numerose possibilità di toccare argomenti forti quali l’identità e le differenze dei singoli, adulti e bambini. Il collegamento tra il percorso artistico effettuato dai bambini e il successivo laboratorio proposto ai genitori ha evidenziato ulteriormente la parte del lavoro le riguardava le identità e le differenze…Questo lavoro ha centrato la sua attenzione sul tema dell’identità e delle differenze: proteggere le singole dotazioni di partenza, rendere chiari e riconoscibili i tratti di ognuno e allo stesso tempo porre attenzione al rispetto per la molteplicità. In questa fascia di età non sempre i bambini riescono a raccontarsi, a mettersi in gioco. Per permettere loro di farlo, si è pensato ad un approccio creativo in cui gli oggetti mediatori sono diventati il tramite. Se è vero che ogni individuo compie delle scelte in cui si può riconoscere, gli oggetti scelti, attraverso il piacere di fare insieme, soni diventati narratori, la rappresentazione del sé.

E così la maestra di scuola primaria A. Grosso, IC 5 di Bologna, Dora Mattia:
“Si è venuto a creare così un setting narrativo in cui i protagonisti delle storie erano gli stessi bambini, in un’interrelazione tra testo e contesto relazionale: infatti la narrazione è sempre elaborata a partire del punto di vista del narrante ed è accolta/compresa in base al punto di vista dell’ascoltatore. La narrazione è esperienza fortemente connotata a livello emotivo-affettivo e relazionale tanto che possiamo considerarla un fatto interpersonale…Inoltre il racconto dei bambini diviene un contesto preferenziale per far scattare forme di identificazione e svelare indirettamente, personali modi di essere, di sentire, di conoscere e di elaborare. Ho sostenuto e incoraggiato questa attività perché la narratività può essere una modalità di organizzazione dell’esperienza…Il modo più elementare di elaborare l’esperienza è quello di renderne conto attraverso la narrazione della medesima e che esiste una specie di isomorfismo tra il raccontare e il modo di apprendere della mente”.

In tutti due i progetti al centro sono le tematiche dell’esperienza didattica narrata agli altri e a se stessi, quindi l’importanza della documentazione, unitamente al tema
dell’identità/differenza, dell’incontro e dell’ascolto dell’altro.
In entrambi i progetti le maestre si raccontano, descrivono tempi di attesa e fasi del progetto, aspettative e condivisioni, tentativi e risultati, ma soprattutto parlano di attenzioni, emozioni, gruppo e successione delle azioni che rivelano una trama di affetti e sguardi attenti, rivolti sì ai bambini, ma anche a esse stesse impegnate nell’atto educativo.

Ho sempre cercato, nella mia esperienza di insegnante, di pormi in atteggiamento di ascolto e di attenzione a ciò che dicono i bambini..,per costruire una relazione/comunicazione positiva, per andare verso gli obiettivi formativo/culturali, scrive Dora nel libro, e aggiunge durante il nostro incontro: il mio cuore professionale è nelle storie e nella lettura. Bisogna partire dalla situazione che si ha di fronte, ho scoperto che i bambini avevano desiderio di raccontarsi e mi sono affidata alla situazione senza sapere bene dove stavo andando. Il percorso è diventato strutturato nel momento in cui ho fatto la documentazione.
A seguire, Stefania:
Giunta quasi al termine della mia carriera scolastica , dopo 35 anni di servizio, sento ancora la necessità di fare il punto sulla mia idea di scuola…La mia scuola oggi è fatta di sperimentazione continua, quella in cui i bambini scoprono problematiche e soluzioni, si mettono alla prova, si incuriosiscono…


Entrambe le esperienze si caratterizzano per lo stile laboratoriale, con materiale a disposizione, attività in piccolo e grande gruppo, dove ciascuno consegue risultati in concorso con altri. E’ la scuola del fare, a cui il laboratorio garantisce il carattere sperimentale e il tempo fa da un alleato.
Ė Sara Beccari, studentessa di Scienze della Formazione Primaria, a proporre il progetto di arte e riciclaggio alla scuola G. Garibaldi durante il suo tirocinio. Come scrive Sara, il percorso è iniziato al MAMbo, il Museo d’Arte Moderna di Bologna, dove i bambini hanno partecipato ad un laboratorio sui materiali dell’arte organizzato dal Dipartimento Didattico Del Museo.

La parola a Sara, la tirocinante
Una parola: sorpresa. Questo lavoro per me è stata una sorpresa perché mi ha portato un risultato che non avevo ipotizzato. Penso che tutto questo sia successo perché ho incontrato Stefania, per fare questo avevo bisogno di persone disponibili. Per me si è trattato di un tirocinio in più, in vista della laurea. Sono stata considerata come un’insegnante, la maestra d’arte, è una scuola accogliente per noi studenti. All’università si studia la documentazione, ma in questo caso si è trattato di una cosa diversa, perché l’impatto è stato forte quando ho partecipato a “Indizi in diretta”. Il Tirocinio ha una sua organizzazione e articolazione nella prima formazione, come fase in cui prende forma un profilo professionale complesso e dinamico, che si accresce a contatto col sapere esperto della scuola, fatto di ricerca e di azione, di riflessione e di innovazione. Nelle attività di tirocinio e di laboratorio a Scienze della Formazione Primaria si è dato spazio all’apprendere in situazione mediante la riflessione, sia attraverso il coinvolgimento attivo dei futuri insegnanti nei contesti lavorativi durante il Tirocinio, sia attraverso la simulazione di contesti di apprendimento efficaci nei Laboratori. Il modello formativo realizzato ha portato al riconoscimento di un sapere scientifico fondato tanto sulla pratica didattica quanto sulla teoria, reso possibile unicamente per l’impegno e la collaborazione dell’università e della scuola che sono riuscite ad avviare un partenariato sul riconoscimento reciproco delle rispettive competenze.
La tesi di Sara si intitola “Facciamo la differenza. Un progetto educativo sul tema dell’arte e del riciclo alla Scuola dell’Infanzia”, Tesi di Laurea in Disegno e altre arti figurative, Relatore Prof. Ines Bartolini e Correlatore Stefania Maiani, Anno Accademico 2008/2009. Nell’Abstract si legge: in data 21 febbraio 2009 il progetto è stato accolto dal Centro di Documentazione e Formazione del Comune di Bologna e presentato durante l’iniziativa “Indizi in diretta”.

Giuliana Santarelli