venerdì 8 ottobre 2010

SULLE TRACCE DELLA PEDAGOGIA POPOLARE

Giuliana Santarelli

Un bollino per scuola di qualità. ecco come nasce la classe perfetta. Assegnato da giurie ministeriali, certifica eccellenza di strutture e didattica (da I requisiti della scuola di qualità, La Repubblica, 12 aprile 2010,) e di seguito si elencano: Servizi generali, Gestione dei servizi tecnici, Gestione fornitori, Apprendimento, Etica, Pari opportunità, Gestione del personale, Gestione dei servizi ausiliari, Integrazione col territorio, Infrastrutture e Risorse finanziarie, Ricerca e aggiornamento. Per ognuno di questi punti si esplicita che cosa si intende, ad esempio, alla voce apprendimento è scritto: programmi scolastici essenziali concordati per anno di corso e per materia, informazioni dettagliate alle famiglie, criteri di valutazione condivisi, metodologie d’insegnamento diversificate in base ai bisogni formativi dei singoli, oppure alla voce etica: POF, Carta dei Servizi e regolamento interno, patto formativo scuola-genitori, diffusione dei valori della legalità, equità, trasparenza e rispetto per la diversità, personale incentivato in base ai meriti, e ancora per pari opportunità: assenza di pratiche discriminatorie e coercitive, borse di studio e sussidi per garantire il diritto allo studio, azioni di prevenzione nei confronti del burnout e mobbing, orientamento e controllo della dispersione scolastica, apertura della scuola nel pomeriggio. E così di seguito tutto il meglio di quanto si è detto e pensato per la scuola.
Un bollino guiderà famiglie e studenti alla ricerca delle migliori scuole italiane. Negli istituti che otterranno, o hanno ottenuto, la certificazione tutto funziona, o dovrebbe funzionare alla perfezione. Con insegnanti e personale al servizio di genitori e alunni…
Saperi nasce in Piemonte nel 2005 ma, spiegano gli ideatori, “è un marchio collettivo nazionale”. L’obiettivo è “diffondere nelle scuole la cultura della qualità per migliorare i processi di apprendimento, valorizzare ciò che di buono esiste negli istituti e il confronto tra loro. Le scuole che vogliono essere certificate devono compilare un questionario. Dopo il controllo dei requisiti da parte di una giuria di esperti, è un Comitato interstituzionale a formulare il parere definitivo
E di seguito l’elenco procede:
Tra i fattori di qualità minimi ci sono servizi scolastici impeccabili, cortesia del personale e un’efficace comunicazione su tutto, dalle iscrizioni agli orari. I laboratori, Ça va sans dire, devono essere sempre funzionanti, e gli spazi comuni devono garantire una permanenza confortevole ad alunni, docenti, genitori. Le poche risorse disponibili vanno spese, raccomandano gli esperti, con la massima oculatezza acquistando solo i prodotti che servono davvero e al prezzo più conveniente. Anche il numero e le dimensioni di aule, palestre, biblioteche e servizi igienici sono determinanti nel decidere se una scuola vale davvero oppure no.
Alla fine della lettura, non senza una certa perplessità, il pensiero è andato agli esempi e alle scuole, alle parole delle insegnanti e ai contributi comparsi la scorsa stagione su questo blog di Riforma della scuola, per cercare qualcosa che possa stare accanto a queste indicazioni e con un certo rammarico non ho trovato nulla: gli esempi riportati su questa rivista, atti ad indicare la qualità della nostra scuola, stanno ai punti della scuola col bollino come i termini errati di un’equazione di cui si tenta di fra quadrare il risultato. Le insegnanti intervistate hanno raccontato il loro lavoro in collaborazione con biblioteche, servizi per l’infanzia, musei, università, per usare una parola sola “territorio”. Il punto è, allora, come si declinano quelle parole per avere il “bollino? Questo non si dice, e invece è questa la chiave, altrimenti tutti possono dire tutto. Quale didattica si realizzerà in questa scuola di qualità? Come saranno i bambini, visto che di loro non si fa menzione? Sarà una scuola statale o privata? Del numero di bambini per classe non si dice nulla. Si tace sulle scuole costruite tempo fa e fatiscenti dove non ci sono soldi per ristrutturare le aule. I problemi della nostra scuola pubblica non sono considerati: cosa si fa per bambini stranieri, come si va avanti ugualmente senza l’insegnante di sostegno e quale didattica con l’handicap, come sia possibile la qualità in classi troppo numerose con un turn over di insegnanti. Il bollino liquida l’educazione e la didattica con parole come apparecchiature, laboratori, programmi scolastici, criteri di valutazione, metodologie d’insegnamento diversificate sulla base di bisogni formativi, che non sono azioni didattiche ma “etichette” che compongono un catalogo di parole significative ma vuote, usate per richiamare alla mente del lettore prassi consuete. Entrare nel vivo di questo “prontuario di affermazioni per esperti” richiederebbe fatica, investimenti e azioni concertate, non una giuria. Soprattutto non c’è scritto che nella scuola di qualità maestri e maestre, bambini e bambine stanno bene insieme e insieme si divertono. Perché è così, le maestre che su questo blog hanno raccontato le loro esperienze dicevano di provare interesse, passione e gioia nel loro lavoro. Probabilmente è di un altro il modello di scuola che si tratta, di un’altra qualità, soprattutto di quello che ci fa parlare e stare insieme ancora oggi e mettere in pratica quella scuola che abbiamo voluto per tanti anni. L’Emilia-Romagna nella seconda metà del Novecento è autrice dei processi di cambiamento e di ammodernamento del sistema scolastico nazionale attraverso modelli scolastici sperimentali: la scuola dell’infanzia, la scuola primaria tempo pieno, la scuola secondaria di primo e di secondo grado a tempo lungo, modelli ispirati ai valori della democrazia scolastica intesa come strumento di emancipazione sociale e di autonomia del pensiero, messi in pratica da una scuola “militante” disseminata nelle periferie emiliane. Questa scuola detiene un primato di qualità come scuola aperta alla molteplicità delle culture e dei valori dell’ambiente antropologico e naturale, partecipata dai genitori e dalle forze sociali, progettata e condotta collegialmente dagli insegnanti, disponibile all’inserimento e all’integrazione delle diversità, articolata in percorsi formativi di sezione-classe e di intersezione-interclasse. E’ la scuola che afferma una teoria e una prassi della formazione scolastica nella prospettiva di una cittadinanza consapevole, attiva e solidaristica, per superare il retorico binomio antagonista di sapere teorico e sapere pratico. Si tratta di immagini pedagogiche e didattiche affidabili sul piano teorico ed empirico, che possono essere riassunte nella Pedagogia popolare e nella prassi dei modelli sperimentali di Loris Malaguzzi e Bruno Ciari, a cui corrisponde una pedagogia endogena che ha avuto tra le sue trame illustri pedagogisti accademici. Questa pedagogia è ancora oggi capace di contrapporsi con efficacia, perché ci appartiene, alle immagini d’infanzia e di adolescenza proposte da paesi stranieri e alle relative “didattiche da classifica” pensate per una società industrializzata che mercifica e omologa anche le azioni quotidiane della vita scolastica. Questa nostra scuola popolare, comunista? ci ha insegnato ad apprezzare e utilizzare l’ambiente di vita sociale e naturale degli allievi quale primo “libro” di lettura e di conoscenza della realtà, per citare Franco Frabboni; ha saputo valorizzare l’aspetto ludico della corporeità del soggetto in età evolutiva, l’aspetto sociale della comunicazione, il valore antropologico dell’ambiente, i caratteri della conoscenza esploratrice e scientifica di matrice montessoriana e piagetiana ed è riuscita a far convivere più teorie dell’educazione e più modelli didattici: il modello innovativo di scuola dell’infanzia, che si deve a Loris Malaguzzi, la scuola elementare promossa da Bruno Ciari e, infine, la scuola secondaria che apre la prospettiva di un sistema “integrato” scuola-territorio, e ciò si deve all’iniziativa di docenti, genitori, amministratori, forze sindacali e dell’associazionismo degli insegnanti, le leggi della Regione Emilia-Romagna. I nostri slogan sono ancora adesso “non-uno-di-meno”, “l’istruzione-non-basta”, “non-solo-scuola, in nome di un’istruzione socialmente e culturalmente spendibile che possa affiancare l’educazione durante il viaggio della formazione scolastica”, per favorire occasioni di incontro interistituzionale tra il sistema formale (la scuola) e il sistema non-formale (la famiglia, gli enti locali, il privato sociale, il mondo del lavoro, le chiese) e per estendere la formazione a tutto l’arco della vita. Il progetto emiliano ha sempre mirato a qualificare il doppio canale - percorso liceale e percorso della formazione professionale - per giungere al più presto al superamento dei canali formativi separati tra loro, potenziale fonte di dispersione e di discriminazione sociale. La scuola elementare, soprattutto, con la fine del maestro unico e onnisciente, ha conosciuto negli scorsi anni un’epoca di ricchezza e di apertura oggi in gran parte rinnegata. Non c’è altra strada per le moderne democrazie che garantire uguaglianza di opportunità per accedere ad un apprendimento di qualità e di massa senza il quale non vi può essere libertà, perché per essere libera una società ha bisogno di saperi che garantiscano una vera cittadinanza. Il tema della libertà attraversa la nostra scuola e ricorre negli scritti dei nostri ispiratori, da Rousseau a Montessori, da Mondolfo a Gramsci, da Borghi a Dewej. Ogni volta con riferimenti diversi, contesti socialmente e politicamente dissimili, ma idealmente vicini. Non è accettabile l’immagine negativa della scuola italiana che ci viene inviata da giornali e mass media, perché nella realtà e nei fatti è molto diversa. Nella scuola si fanno buone esperienze e gli insegnanti vi profondono grande impegno. Si tratta di un’operazione mediatica che vuol dare una immagine fuorviante della scuola pubblica per giustificare i tagli in bilancio. La situazione nelle nostre scuole, e in particolare nella primaria, appare drammatica perchè è praticamente impossibile soddisfare le richieste delle famiglie per un tempo lungo e una scuola di qualità. Questa situazione mette in ginocchio il sistema di istruzione pubblico, lede il diritto a una buona scuola, mentre la professionalità docente ne esce vilipesa e mortificata. Senza una scuola pubblica “di qualità” si vedranno ridotti i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Il tempo pieno alle elementari è nel caos: imparare con meno ore di lezione è la nuova scuola del tempo tagliato. Si tratta di una gestione della scuola miope e indifferente, che si richiama a un’epoca e a una società che non esiste più, quella che ci ha visti un tempo in un mondo limitato al perimetro della famiglia e della scuola. I bambini sono esposti oggi a una gran varietà di stimoli e di esperienze cognitive molto prima di arrivare a scuola e hanno bisogno di un insegnamento più dinamico e attento al diverso ritmo e sviluppo di ciascuno. Il ritorno al passato non è la panacea di tutti i mali, è solo uno slogan che ha mascherato i brutali tagli in bilancio. Non è colpa delle maestre che fanno del loro meglio, né degli immigrati, né dei bambini né dei genitori con le loro disuguaglianze e diversità. Intitola La Repubblica di lunedì 20 settembre: La fine della scuola elementare. Era il punto di forza dell’educazione pubblica italiana: ma ora anche l’istruzione primaria è al collasso... La scuola è assediata da una società diseducante i cui modelli contraddicono valori e comportamenti che l’insegnante cerca di trasmettere… Funzione essenziale della scuola pubblica nella democrazia che si professa tale… La primaria pre-Gelmini rispondeva alle esigenze di una società profondamente mutata e con spirito democratico: molto per tutti i bambini e speciale cura per i più deboli… Si smantella la scuola pubblica per foraggiare le scuole private.
Ma la storia dimostra che la nostra scuola sa resistere, una storia fatta di insegnanti malpagati, è vero, ma anche di successi, e di questi scriveremo.