lunedì 20 dicembre 2010

A proposito della stamperia. Incontro con Angela Neri

Angela Neri ha curato nel 2009, per conto dell’IC 1 di Bologna, una pubblicazione in collaborazione con l’Associazione di Promozione Sociale. Centro Sociale Ricreativo Culturale e Orti. Anziani Barca, il Comune di Bologna e il Centro Sociale Ricreativo Santa Viola dal titolo “Una scuola colorata”, quarant’anni della scuola Giovanni XXIII, in occasione del, come scrive la stessa Angela, “compleanno della scuola Giovanni XXIII”, che il 7 giugno 2009 ha compiuto quarant’anni. Nelle note al volume la curatrice ritiene di dare motivazioni e spiegazioni di questa iniziativa. Cito testualmente:
“le risposte ognuno se le darà secondo i propri ricordi, le emozioni vissute, le esperienze fatte…
Qualcuna voglio darla anch’io, che per quarant’anni ho lavorato come maestra al Barca. Già, il Barca, questo nome che rievoca, fin dal tempo degli Etruschi, il bisogno di collegare due lembi di terra divisi dal fiume Reno, ma questa è una delle tante storie del Barca, una di quelle che Jacque Le Goff ama tanto e che i maestri cercano di tramandare perché chiunque risieda qui la possa condividere con chi questa terra l’ha conosciuta prima di lui.
E il Barca, di storie trapiantate (passatemi questo termine legato alle mie radici contadine), ne ha viste tante, fin dalla sua nascita politica e architettonica, sapientemente descritta da Milena Benassi: quella degli anni Cinquanta-Sessanta dal Comprensorio, verso la città; quella, subito successiva, tra gli anni Sessanta-Settanta del periodo dell’immigrazione dal sud d’Italia verso una Bologna industrializzata, miraggio di lavoro; quella degli anni Ottanta dei Nomadi accampati spesso lungo il fiume Reno e l’ultima, quella degli stranieri: Marocchini, Tunisini, Bangladesi, qualche Cinese, qualche Centro-Africano, gli Europei provenienti dai paesi dell’Est, qualcuno proveniente dall’ex Jugoslavia, di etnia Rom, diventato stanziale…Provenienze, etnie, lingue, dialetti, usanze, costumi, religioni diverse…hanno forse costituito momenti di attrito, di difficoltà di convivenza, ma attraverso il tempo stanno fondendosi in un popolo nuovo…La conoscenza avviene se le distanze si accorciano e negli anni Ottanta e Novanta è la solidarietà dei quartieri Barca-Santa Viola nei confronti delle “famiglie del fiume”: la condivisione del cibo e delle parole porta anche all’agire istituzionale e all’accoglienza nelle scuole. Accoglienza che prima era stata praticata per chi proveniva dal Sud del nostro paese e che ora si rivolge agli stranieri…Ogni stagione si sussegue con colori e connotazioni diverse, legate dalla passione per quel Lavoro Quotidiano che ci ha regalato quarant’anni di storia scolastica “al di sopra delle righe”, al Barca”.

Incontro Angela al Centro Sociale Ricreativo Santa Viola dove lei svolge volontariato:
- Ho incominciato a insegnare al Quartiere Barca quando Giovenale era appena uscito dall’esperienza di San Sisto e aveva avuto come maestro diretto Bruno Ciari. Io conservo ancora adesso in casa alcuni libri di scienze di Ciari, perché l’insegnamento delle scienze, per Ciari, andava fatto in un certo modo, con ipotesi, tesi e verifica e, siccome Giovenale aveva timore di sbagliare, Ciari andava nella sua classe, perché erano davvero amici e insieme facevano esperimenti. Successivamente Giovenale ha continuato sulla strada del lavoro scientifico anche alla Dozza, al carcere. Questa era una strada e l’altra era quella delle attività manuali, per la scuola che pensavamo noi, intendo. Quando ho incontrato Giovenale Ratini io avevo un’esperienza di due anni di tempo pieno alla scuola elementare Dall’Olio, erano appena entrati in vigore i Decreti Delegati, il gruppo delle famiglie che seguiva il mio tempo pieno era fantastico e con la loro collaborazione avevo potuto chiudere la scuola il sabato, programmare con la mia collega, fare l’adozione alternativa dei libri di testo, tutto quanto si poteva in previsione della scuola a tempo pieno. Arrivata alla scuola De Pisis (scuola elementare del quartiere, oltre a Morandi, Cesana, Giovanni XXIII e Villa Serena) mi sono trovata nelle stesse condizioni, nel senso che avevo come partner un collega che proveniva dal doposcuola, era quindi un insegnante comunale come la mia collega precedente.Mettersi insieme e lavorare sulle nostre reciproche diversità ha costituito davvero un valore: lui insegnava a me le tecniche, che conosceva bene perché era già istruttore internazionale del CEMEA, aveva lavorato moltissimo in Francia ed quindi portato in Italia le tecniche CEMEA francesi, e anche quelle di Cooperazione Educativa, perché allora i due movimenti erano strettamente legati. Io portavo la teoria, quindi, con lo scontro-incontro, trovammo un bel modo di costruire. Lavoravamo in una affittanza e considero anche questo un valore aggiunto. Non era solo un condominio, ma quelli erano addirittura i negozi, eravamo adiacenti al marciapiede e ci separavano dall’esterno due pareti di vetro che era stato plastificato con dell’isolante. Noi avevamo diviso lo spazio a seconda dell’uso e consideravamo come spazi la parete, il soffitto e tutto poteva avere una propria funzione. Lo spazio porta, ad esempio, era quello in cui noi mettevamo il cartellone delle attività e della suddivisione delle attività della classe. C’era lo spazio colonna, al quale attaccavamo le sagome, e poi c’era l’angolo morbido con scaffalature per i libri prese nei magazzini comunali, sul quale i bambini potevano buttarsi, togliersi le scarpe, e nel quale potevano leggere, perché Giovenale aveva portato tutta la biblioteca di Mario Lodi, l’aveva trovata nei magazzini comunali, una bibliotechina che ora sarà al macero, ed era una cosa fantastica. Io ho conosciuto Mario Lodi e l’ho incontrato in varie occasioni. Non a caso a Mario Lodi è stata conferita la laurea Honoris Causa in occasione delle celebrazioni per il Centenario dell’Univers di Bologna. Ce n’erano tanti di angoli importanti nella mia scuola. C’era, ad esempio, l’angolo della tana, dove i bimbi andavano quando non erano di buon umore e proprio lì avevano un diario, un quaderno dove potevano scrivere tutto quello che volevano, e l’avevamo anche noi. Di fronte all’angolo morbido c’era la stamperia scolastica. La stamperia non aveva il compito di avviare alla lettura, come io, da globalista, in quel momento, avrei voluto, ma aveva lo scopo di diffondere i testi dei ragazzi, quello che dicevano, perché era importante quello che dicevano. Diffonderlo soprattutto fra i genitori e le altre classi, era la nostra corrispondenza scolastica. Il nostro primo giornalino si intitolò “Il simpatico”, i bambini vollero chiamarlo così, e c’erano i testi dei bambini. La stamperia era fondamentale perché portava a riprodurre, attraverso quei caratteri mobili, i testi dei ragazzi. Poterli riprodurre significava consegnare agli altri il proprio pensiero, oppure era un modo per correggerli e valorizzarli. Noi usavamo anche le matrici e il ciclostile, abbinavamo le due cose, come la matrice del disegno, in questo modo si riportavano anche i disegni. Con la stamperia i testi venivano corretti e valorizzati. Non ho conservato il materiale perché non davamo importanza alle conquiste che avevamo ottenuto, ma a quelle che dovevano venire, non si lavorava sulla memoria, si lavorava sull’innovazione, e si buttava via tutto. Si guardava solo avanti. Abbiamo continuato a fare così per almeno dieci anni. Non davamo importanza a quello che era successo, perciò non ho nulla di questo materiale. Io sono rimasta nella scuola e ho continuato a fare ricerca nella scuola, guardando sempre avanti.
Tu e Giovenale avete scritto “I corpi si danno del tu”, con l’introduzione di Andrea Canevaro, io ricordo una vostra presentazione del volume e una dimostrazione del metodo da voi descritto per l’apprendimento della lettura e della scrittura, durante un incontro alla scuola elementare De Pisis.
- Credo ci sia stata una sterzata per quel che riguarda l’imparare a leggere e a scrivere: siamo negli anni Settanta, rinnovamento significava metodo globale, il metodo sillabico era privo di motivazione, invece il metodo globale per l’apprendimento della lettura e della scrittura significava il “perché scrivo” da parte del bambino: “non posso scrivere soltanto per la maestra che mi dà bravo sul quaderno, ma io devo scrivere perché ho delle cose importanti da dire” e allora si spiega un testo anche molto breve come “siamo a scuola e stiamo bene”, il nostro primo testo. Il fatto è che contemporaneamente al tempo pieno nasce a Bologna il problema dell’integrazione dei bambini disabili e dovevamo cercare strumentazioni più adeguate per consentire loro, che non erano in grado di imparare col metodo né fonologico nè sillabico, nemmeno col globale perchè era troppo una stringa di parole, una frase, su cui dovevano poi ritornare più volte attraverso un’analisi e una ricomposizione, di imparare a leggere. C’era bisogno del metodo fonico.
Parlami ancora della vostra scuola.
- Noi aprimmo Villa Guastavillani. Avevamo fatto uno scambio con Firenze, poi ci mettemmo in testa che sarebbe stato interessante poter fare, con dei bambini deprivati di tutto come potevano essere quelli, un soggiorno dove essi potessero autogestirsi, e intendavamo con ciò farsi da mangiare, fare le pulizie e una serie di attività intensive che andavano dalla danza, al cinema, alla pittura, in più c’erano le attività CEMEA come il cartonnage e le varie teniche di pittura. Sono le tecniche indicate dal CEMEA, assolutamente curate, compresa l’attività musicale. Il CEMEA bolognese ha praticamente abortito quando Giovenale se ne è andato perchè non ne condivideva più il progetto: avevano paura di muoversi e di contaminarsi con altre esperienze. C’è ancora una sezione del CEMEA fiorentino, io penso ai suoi grandi nomi, alle tante persone che ho conosciuto e che erano veramente grandi, ma non fanno più stage e nemmeno formazione. Ricordo con piacere l’esperienza della vendemmia in una cooperativa, con la possibilità di raccogliere le mele e le pere e di fare la marmellata. Il termine esperienza dice tutto perché è un coinvolgimento totale del corpo e della mente, e quindi nell’esperienza, ci sta dentro tutto, mentre ora questo tutto torna a separarsi e stiamo per lasciare nuovamente il corpo dei bambini fuori dalla scuola.
Cosa pensi della scuola di oggi?
- C’è una specie di muro di gomma che ci separa dai nostri ragazzi futuri insegnanti, è come se fossero senza speranza e quindi con pochissima voglia di mettersi in gioco, perché se non ti metti in gioco tutto ti scivola addosso e allora nulla attecchisce da qualche parte. Io ho buttato tutto il materiale e ho imparato da Giovenale: ho sempre buttato gli sfondi narrativi che erano anche sfondi integratori, perché mi rifiutavo di insegnare a un nuovo ciclo con le cose vecchie già usate. Secondo me si doveva cambiare per trattare ciascuno nella sua specificità. Fai finta che quando parlo usi il plurale perché erano sentimenti estremamente condivisi. Nel decennio che ho lavorato con Giovenale c’è stato questo continuo inventare delle strade: il bisogno di rinnovare, di cambiare, di far entrare le famiglie. Allora il coinvolgimento delle famiglie era davvero difficile, ma quando le sentivi coinvolte erano una potenza incredibile. Bisognava conquistare la loro fiducia, la famiglia di allora ti riconosceva un ruolo e se ti dimostravi generoso si fidava di te, era una diffidenza “di classe”, come si diceva, che si è andata attenuando nel tempo. Avevamo a disposizione delle opportunità incredibili, facevano per noi molti lavori mauali, ogni anno partecipavano a uno o due soggiorni, oltre alle gite scolastiche pianificate. I genitori erano l’altro asse portante, si era continuamente affiancati, una volta che avevano capito come lavoravi e avevamo mangiato insieme. Io ho avuto la fortuna che in questi anni i miei amici più importanti siano rimasti i genitori e gli alunni. E poi c’è stato l’affiancamento dell’Università, oltre a quello del CEMEA, il comune per me era Giovenale. Il Comune di Bologna organizzava allora il Febbraio pedagogico, che da tempo non fa più, ed era quello un momento di incontro fondamentale. C’erano questi assi, era come se tutti le componenti educative della città ci affiancassero, ad esempio l’IRPA, mi ricordo l’avanti-indietro, noi da loro, ma anche loro da noi. Quando si cominciò davvero l’integrazione dei bambini disabili nelle scuole, ricordo l’avanti indietri di Andrea Canevaro. E questo affincamento ci ha fatto crescere.
Noi facemmo dieci anni praticamente senza il dirigente scolastico, c’era una reggente che si vedeva di rado.
- Io di quegli anni ricordo una continua programmazione, il continuo preparare l’ambiente, preparare la settimana, il contesto, i materiali. La stamperia ci ha seguito nel piano superiore della scuola De Pisis quando hanno ristrutturato, finchè non l’abbiamo sostituita col ciclostile e poi col computer, che non va demonizzato ma usato nella maniera corretta, ci sono maniere assolutamente creative di comunicazione. Noi abbiamo cominciato ad usare il computer nella nostra classe perché ci ha aiutato un papà: come ho già detto ogni genitore era maestro di qualche cosa, le porte della classe erano aperte perché ciascuno potesse portare la sua esperienza, diventava sia maestro di qualche cosa sia faceva qualche cosa, tutti avevano bisogno di portare il loro contributo, era il modo per far crollare le pareti e fare una scuola aperta, era una scuola che si apriva al territorio, e questo era il territorio giusto. Si è mantenuto tale, in questo quartiere c’è una tradizione di fiducia nei confronti della scuola, di fiducia e di bisogno. La scuola era ed è un luogo di aggegazione, lo abbiamo visto anche lo scorso anno nell’iniziativa con la scuola media Dozza e degli istituti del circolo.

La stamperia, il sussidio didattico più noto di Celestine Freinet, faceva parte della Mostra durante la settimana dal 11-16 maggio 2009, in occasione dei festeggiamenti del Quarantennale. La scuola, aperta nel pomeriggio e di sera per consentire a tutti i genitori di essere presenti, aveva allestito, con la partecipazione degli insegnanti e del personale ausiliario, sotto la cura del maestro Giuliano Vaccari, uno spazio-mostra permanente di materiali e sussidi didattici, accompagnata da una serie di attività diverse di giorno in giorno. Recita la locandina: Progetto “Per un’educazione attiva” – Istituto Comprensivo 1 Bologna - Anno scolastico 2009-2010. Il progetto nasce nell’anno scolastico 2008-09, durante il quale la scuola primaria Giovanni XXIII dell’I.C.1 di Bologna ha festeggiato il Quarantennale della sua esperienza di scuola.
Le iniziative vengono riassunte nel manifesto dell’esperienza ( laboratori di teatro, di tcniche di pittura, riciclaggio creativo, decoupage, danze, musiche, seminari a tema).
… “Una macchina del tempo...che ci porta a viaggiare nel mondo della scuola a partire dagli anni '70 fino ad oggi. Nella mostra sono raccolti tantissimi materiali, molti erano conservati a scuola, molte cose invece sono state portate da ex maestre che avevano conservato il risultato di anni di lavoro…È forte l'accento posto sul fare da soli, in classe. Fare e toccare. Imparare attraverso l'esperienza diretta. Per questo era molto interessante l'armadio Vallardi, predisposto con tutto quello che occorre per fare scienze. Microscopi, vetrini, e le meravigliose valigette a tema che contengono esempi visibili e tattili dell'argomento trattato. Giuliano si divertiva a fare vedere alle scolaresche la valigetta con tutte le sementi, quella della canapa, quella del vetro e della ceramica. Le scolaresche erano affascinate al vedere tante cose inusuali come il proiettore, il complessino Freinet per la stampa, o i telai”…scrive la studentessa del 3° anno di Scienze della Formazione Primaria che svolge il tirocinio proprio in quel periodo nella scuola, Maria Castegnaro.
Probabilmente a Bologna non esiste un’altra stamperia, dice Angela Neri che ce n’erano due e una è stata donata all’Ausilioteca molti anni fa e non se ne hanno più notizie.
Una scatola di legno di medie dimensioni, con caratteri di stampa, che ho visto in uso una volta soltanto, proprio da Giovenale Ratini. Mi sembrava di difficile uso ma di grande potenza, perché dava la parola ai bambini, che fino ad allora dovevano stare zitti una volta a scuola. Resta comunque ben custodita a rammentare il valore di una pedagogia della cooperazione nella prospettiva dell’Educazione Attiva sempre attuale.

Giuliana Santarelli

sabato 20 novembre 2010

La Costituzione raccontata ai bambini.

Punti fermi da una esperienza

Si legge nel libro di Ovide Decroly e Amélie Hamaïde pubblicato nel 1958, e ora dimenticato, a proposito della “scuola per la vita attraverso la vita”:
- la scuola deve costituire un ambiente naturale, semplice, schietto, in una cornice viva, preferibilmente in campagna…essa deve poter offrire al fanciullo le occasioni di un adattamento alla vita reale e, se necessario, sopperire sotto questo aspetto ad insufficienze più o meno gravi della famiglia.
- La scuola deve inoltre costituire un ambiente sociale nel quale il fanciullo impara a conoscere i suoi simili, apprende ad adattarsi a un ordine del quale egli stesso fa parte, e si prepara in tal modo a divenire gradualmente un individuo utile e consapevole dei suoi compiti di cittadino.
- Il programma di insegnamento deve avere un fondamento bio-sociale, deve trarre cioè i suoi contenuti dall’ambiente scolastico quale più sopra è stato definito, e dai fatti che vi si svolgono.
Questi principi, ripresi, sviluppati e aggiornati da pedagogisti e intellettuali della nostra cultura umanistica, sono stati assunti e diffusamente professati nelle scuole a tempo pieno. Essi costituiscono ancora adesso i punti fermi di una didattica quotidiana su cui passano, senza metterne in dubbio la validità, leggi “ostili” di casa nostra ed echi di altri paesi “lontani”.

L’istituto comprensivo di Zocca

La scuola si trova nel centro del paese, a cinquanta chilometri da Modena e cinquantadue da Bologna. Zocca è una “terra di mezzo”, perché pur essendo in provincia di Modena, ruota culturalmente e professionalmente, per gli insegnanti, sul versante bolognese. Come la leggendaria regione dell’immaginario tolkieniano, non è una terra che non c’è, non è un mondo parallelo e isolato dal nostro.
E’ terra di immigrazione, non perché offra particolari opportunità di lavoro, ma perché mette a disposizione soluzioni abitative a basso costo che fanno sì che molti operai del comprensorio di Vignola e Sassuolo, abitino per convenienza economica a Zocca, distante dal comprensorio circa trenta chilometri.
La scuola elementare è composta di dieci classi a tempo pieno, un “vero” tempo pieno di quaranta ore anche adesso, con doppio organico; le insegnanti più anziane hanno tutte partecipato a diverso titolo alle prime esperienze di tempo pieno nella provincia di Modena (quando la prima scuola a tempo pieno nel modenese fu quella di Spilamberto, negli anni settanta), e sono convinte sostenitrici di questa organizzazione didattica. Il personale più giovane è quasi tutto precario, ci sono stati momenti di grande turn over; ora, invece, pare stabilizzarsi un precariato che abita nelle vicinanze. La dirigenza della scuola è stata per lunghi anni occupata da persone che abitavano nel territorio, solo da cinque anni i dirigenti di nuova nomina sono venuti dal sud, come in questo anno scolastico, e sono reggenti. Questa realtà ha fatto sì che recentemente l’impianto didattico e organizzativo della scuola sia stato di fatto gestito dalle insegnanti più anziane, sicuramente molto aggiornate e motivate.

Il progetto

Il progetto sulla Costituzione nasce da questo clima culturale e dalla consuetudine di collaborare con i vari enti presenti nel territorio, che si sono rivelati da sempre disponibili, specialmente la ragazza che gestisce lo Spazio giovani del comune, Fabia Barbieri, che in questo occasione ha collaborato con professionalità, impegno e costanza.
Il tema della costituzione è stato scelto per tanti motivi che si possono riassumere in:
• aumentare nei bambini la consapevolezza di essere parte di una comunità, e per questo di avere delle regole, dei diritti e dei doveri, e che questa comunità non è nata dal niente, ma ha una storia di cui andare fieri
• rendere consapevoli i bambini dei concetti di diritto e dovere, della corrispondenza fra questi due concetti per la convivenza, l’accoglienza e il rispetto delle regole della società
• conoscere la Costituzione italiana nei suoi principali aspetti, sia dal punto di vista storico che valoriale.
Il progetto si è avvalso della sponsorizzazione e collaborazione del Festival della poesia di Modena con la presenza di un attore che ha insegnato ai bambini tecniche di lettura e recitazione finalizzate ad uno spettacolo. A Modena, da alcuni anni, si svolge un festival della poesia che attira visitatori da ogni parte d’Italia. Al suo interno è stato realizzato un percorso per i bambini con tutte e tre le scuole che hanno aderito al progetto.
Ha collaborato, inoltre, il gruppo I FLEXUS per la parte musicale e per l’allestimento dello spettacolo. Si tratta di un gruppo di grande professionalità, non di dilettanti, e con la competenza necessaria a lavorare musicalmente con i bambini. Il progetto si è sviluppato secondo due direzioni: musicale la prima, relativa alla conoscenza e al canto di alcuni brani molto conosciuti e riconducibili ai valori della Costituzione, tratti dal repertorio di Fabrizio De Andrè, Rino Gaetano, Giorgio Gaber, Bob Dylan.
Il secondo versante ha visto la produzione di poesie inventate dai bambini, relative ai concetti più importanti espressi nella parte prima della Costituzione italiana, dove sono scritti i principi fondanti dello Stato. E qui i bambini hanno dato il meglio. Hanno letto le loro poesie al festival, ottenendo un successo insperato, tanto che il pubblico ha applaudito in piedi.
Le due classi quinte dell’ IC Martiri della libertà di Zocca
Le due classi hanno in tutto quarantacinque bambini e presentano un profilo che si può così evidenziare:
- in tutte e due le classi è presente un gruppo di eccellenza che emerge dal resto della classe, separandosi a volte
- in entrambe le classi sono presenti molti bambini stranieri, uno dei quali con grossi problemi di comportamento e di rispetto delle regole
Le due classi sono complessivamente frequentate da ragazzi molto maturi ai quali si possono proporre argomenti complessi e legati alla realtà, che loro dimostrano di voler capire, così è stato possibile proporre un progetto che presupponesse attitudine allo studio e curiosità di imparare cose nuove.
Hanno lavorato al progetto le insegnanti Paola Manzini e Anna Lamandini, privilegiando la metodologia del lavoro di gruppo e l’uso di tecnologie per la produzione di slide, fatte dai bambini stessi, per illustrare il loro lavoro e da proiettare come sfondo.
Sono state organizzate attività laboratoriali per l’invenzione di poesie e filastrocche ispirate ad alcuni articoli della costituzione. Le attività didattiche hanno rivestito carattere interdisciplinare: civiltà e costituzione, lingua italiana, inglese, tecnologie, arte e immagine, attività musicali.
Le due classi hanno curato anche l’allestimento scenico perché hanno dipinto e disegnato cartelloni e sagome con varie tecniche.

Il metodo dei progetti


Nicola Abbagnano e Aldo Visalberghi hanno scritto un’antologia pedagogica sempre interessante, da sfogliare ogni tanto, perché ci pone di fronte alla sintesi del pensiero pedagogico fatta da due studiosi autorevoli quali essi sono. Di William Kilpatrick essi dicono che è “il propugnatore della piena integrazione di tutti i fattori educativi, intellettuali ed emotivi, individuali e sociali, strumentali e finalistici.”, su ispirazione dei principi della pedagogia dewiana.
Kilpatrick fu il pedagogista che operò il massimo sforzo per ottenere che il nuovo tipo di educazione, quale si profilava nel pensiero del Dewej, potesse diffondersi e svilupparsi con l’aiuto di indicazioni metodiche e precise da non lasciare troppo all’inventività dei docenti, e sufficientemente flessibili da non dover costringere la loro inventività dentro vie già tracciate. Per questo nacque il “Metodo dei progetti”, nel 1918, definito come attività intenzionale volta a conseguire obiettivi reputati validi e importanti dagli allievi e dai docenti, perché legati alla motivazione ad apprendere. L’idea e il valore del progetto sono stati via via ripresi fino ai giorni nostri. Ricordiamo una fitta rete di pubblicazioni sul tema, e la fortuna e il seguito che ha avuto questa metodologia, approfondita, rinnovata, riproposta e aggiornata, possiamo dire riattualizzata. Anche nel Corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria le attività di tirocinio degli studenti nelle scuole sono organizzate secondo l’offerta delle scuole stesse dei loro “progetti” sulla Banca Dati dell’Università, a cui gli studenti accedono per scegliere il progetto loro più congeniale.

Chi sono gli studenti di oggi

Non sappiamo quanto e come siano cambiati i ragazzi, ma sappiamo che molti di loro in famiglia non ricevono sempre un’adeguata educazione attraverso un dialogo intenso e continuo, che faccia capire loro chi davvero sono e a quali le regole si devono attenere per muoversi con impegno e serietà nella vita. Inoltre, si dice che non abbiano basi certe su cui intravvedere il loro futuro e leggere il presente, per cui non si dà motivazione per adeguati e conseguenti comportamenti. Per questi motivi la scuola oggi non può limitarsi a istruire, ma deve provvedere anche a educare, non solo i comportamenti ma anche i sentimenti, le sfiducie e gli abbandoni. Allora gli insegnanti si impegnano a supplire a quegli aspetti fondamentali che mancano in famiglia e che non incontrano il dovuto eco sociale, per questo invocano classi meno numerose, proprio per questo vorrebbero applicarsi ad un insegnamento personalizzato, o per lo meno, che potesse lasciare spazio ai bisogni di ciascuno e andare incontro alle esigenze. Da parte ministeriale non si presta attenzione a quanto accade e necessita nelle nostre aule e ci si affida alla sensibilità, alla generosità e alla fiducia “educativa” che si trovano e crescono spontaneamente nelle nostre scuole “di tradizione”, che non sanno rinunciare alla didattica in cui credono.

Perché un progetto sulla Costituzione

Come ha dichiarato di recente Mario Lodi in una recente intervista, come fu promulgata, la Carta fu esposta per anni nelle sale consiliari dei Comuni, “tanto era bella. Dovrebbero esporla sempre anche in tutte le scuole”, visto che il sindaco di Adro ha pensato di mettere dappertutto nella scuola del paese il simbolo della Lega Nord.
Mario Lodi, l’autore de”Il paese sbagliato” e “Cipì” dice che i buoni insegnanti non fanno nulla di speciale, ma mettono in pratica la Costituzione ogni volta che insegnano ai bambini a parlare e ad ascoltare, perché è in questo modo che nasce la responsabilità, da un atteggiamento democratico.
”A me pare che dei valori classici su cui era fondata la Costituzione sia rimasto poco. C’è stato un furto. Per i giovani è un bel guaio. L’indiziato numero uno è la comunicazione. Giornali, tv, ora internet…I più furbi hanno capito subito che chi possedeva la tecnologia avrebbe controllato anche i valori. Prenda l’idea di libertà. La libertà oggi è realizzare se stessi e pazienza per gli altri. Non è la stessa libertà che ha ricostruito il paese dopo la guerra. Questa è una libertà maleducata”.
Si pongono allora due considerazioni. La prima riguarda la condizione attuale dell’Italia, definita da Nanni Balestrini “chiusa in un’autarchia grigia, rassegnata…dominata da un’istintiva avversione verso l’uomo di cultura…Se Tremonti apre un comizio dicendo -Noi non leggiamo libri, mangiamo agnolotti-, significa che la politica ha definitivamente sdoganato l’incultura”.
E’ possibile pensare che nelle nostre scuole non circoli la cultura, a vantaggio di un’istruzione strumentale e appiattita sulle necessità materiali?
La seconda fa riferimento all’art. 3 della Costituzione che parla di libertà e uguaglianza, che i ragazzi delle nostre scuole devono conoscere, non per recitare durante l’ora di “educazione civica”, ma per riflettere seriamente su di esso. Il tema delle disuguaglianze economiche, e più in generale di fatto, caratterizza l’articolo 3 della Costituzione, dove si presume che compito della Repubblica sia quello di rimuoverle. L’eguaglianza riguarda l’accesso ai beni della vita e alla conoscenza, al cibo, al lavoro e alla dignità della persona che non devono mai essere messi in dubbio, altrimenti il peso delle diseguaglianze e le leggi del mercato fanno nascere una cittadinanza per censo ed ereditarietà. L’eguaglianza di cui parla la nostra Costituzione è garanzia di dignità e di legame sociale, bisogna parlarne nelle nostre scuole, e nel momento in cui si lega questo tema a un progetto, ci auguriamo con Kilpatrick, che i bambini della scuola di Zocca abbiano imparato sia ad amare le attività scolastiche, sia i principi della Costituzione.

Giuliana Santarelli

venerdì 8 ottobre 2010

SULLE TRACCE DELLA PEDAGOGIA POPOLARE

Giuliana Santarelli

Un bollino per scuola di qualità. ecco come nasce la classe perfetta. Assegnato da giurie ministeriali, certifica eccellenza di strutture e didattica (da I requisiti della scuola di qualità, La Repubblica, 12 aprile 2010,) e di seguito si elencano: Servizi generali, Gestione dei servizi tecnici, Gestione fornitori, Apprendimento, Etica, Pari opportunità, Gestione del personale, Gestione dei servizi ausiliari, Integrazione col territorio, Infrastrutture e Risorse finanziarie, Ricerca e aggiornamento. Per ognuno di questi punti si esplicita che cosa si intende, ad esempio, alla voce apprendimento è scritto: programmi scolastici essenziali concordati per anno di corso e per materia, informazioni dettagliate alle famiglie, criteri di valutazione condivisi, metodologie d’insegnamento diversificate in base ai bisogni formativi dei singoli, oppure alla voce etica: POF, Carta dei Servizi e regolamento interno, patto formativo scuola-genitori, diffusione dei valori della legalità, equità, trasparenza e rispetto per la diversità, personale incentivato in base ai meriti, e ancora per pari opportunità: assenza di pratiche discriminatorie e coercitive, borse di studio e sussidi per garantire il diritto allo studio, azioni di prevenzione nei confronti del burnout e mobbing, orientamento e controllo della dispersione scolastica, apertura della scuola nel pomeriggio. E così di seguito tutto il meglio di quanto si è detto e pensato per la scuola.
Un bollino guiderà famiglie e studenti alla ricerca delle migliori scuole italiane. Negli istituti che otterranno, o hanno ottenuto, la certificazione tutto funziona, o dovrebbe funzionare alla perfezione. Con insegnanti e personale al servizio di genitori e alunni…
Saperi nasce in Piemonte nel 2005 ma, spiegano gli ideatori, “è un marchio collettivo nazionale”. L’obiettivo è “diffondere nelle scuole la cultura della qualità per migliorare i processi di apprendimento, valorizzare ciò che di buono esiste negli istituti e il confronto tra loro. Le scuole che vogliono essere certificate devono compilare un questionario. Dopo il controllo dei requisiti da parte di una giuria di esperti, è un Comitato interstituzionale a formulare il parere definitivo
E di seguito l’elenco procede:
Tra i fattori di qualità minimi ci sono servizi scolastici impeccabili, cortesia del personale e un’efficace comunicazione su tutto, dalle iscrizioni agli orari. I laboratori, Ça va sans dire, devono essere sempre funzionanti, e gli spazi comuni devono garantire una permanenza confortevole ad alunni, docenti, genitori. Le poche risorse disponibili vanno spese, raccomandano gli esperti, con la massima oculatezza acquistando solo i prodotti che servono davvero e al prezzo più conveniente. Anche il numero e le dimensioni di aule, palestre, biblioteche e servizi igienici sono determinanti nel decidere se una scuola vale davvero oppure no.
Alla fine della lettura, non senza una certa perplessità, il pensiero è andato agli esempi e alle scuole, alle parole delle insegnanti e ai contributi comparsi la scorsa stagione su questo blog di Riforma della scuola, per cercare qualcosa che possa stare accanto a queste indicazioni e con un certo rammarico non ho trovato nulla: gli esempi riportati su questa rivista, atti ad indicare la qualità della nostra scuola, stanno ai punti della scuola col bollino come i termini errati di un’equazione di cui si tenta di fra quadrare il risultato. Le insegnanti intervistate hanno raccontato il loro lavoro in collaborazione con biblioteche, servizi per l’infanzia, musei, università, per usare una parola sola “territorio”. Il punto è, allora, come si declinano quelle parole per avere il “bollino? Questo non si dice, e invece è questa la chiave, altrimenti tutti possono dire tutto. Quale didattica si realizzerà in questa scuola di qualità? Come saranno i bambini, visto che di loro non si fa menzione? Sarà una scuola statale o privata? Del numero di bambini per classe non si dice nulla. Si tace sulle scuole costruite tempo fa e fatiscenti dove non ci sono soldi per ristrutturare le aule. I problemi della nostra scuola pubblica non sono considerati: cosa si fa per bambini stranieri, come si va avanti ugualmente senza l’insegnante di sostegno e quale didattica con l’handicap, come sia possibile la qualità in classi troppo numerose con un turn over di insegnanti. Il bollino liquida l’educazione e la didattica con parole come apparecchiature, laboratori, programmi scolastici, criteri di valutazione, metodologie d’insegnamento diversificate sulla base di bisogni formativi, che non sono azioni didattiche ma “etichette” che compongono un catalogo di parole significative ma vuote, usate per richiamare alla mente del lettore prassi consuete. Entrare nel vivo di questo “prontuario di affermazioni per esperti” richiederebbe fatica, investimenti e azioni concertate, non una giuria. Soprattutto non c’è scritto che nella scuola di qualità maestri e maestre, bambini e bambine stanno bene insieme e insieme si divertono. Perché è così, le maestre che su questo blog hanno raccontato le loro esperienze dicevano di provare interesse, passione e gioia nel loro lavoro. Probabilmente è di un altro il modello di scuola che si tratta, di un’altra qualità, soprattutto di quello che ci fa parlare e stare insieme ancora oggi e mettere in pratica quella scuola che abbiamo voluto per tanti anni. L’Emilia-Romagna nella seconda metà del Novecento è autrice dei processi di cambiamento e di ammodernamento del sistema scolastico nazionale attraverso modelli scolastici sperimentali: la scuola dell’infanzia, la scuola primaria tempo pieno, la scuola secondaria di primo e di secondo grado a tempo lungo, modelli ispirati ai valori della democrazia scolastica intesa come strumento di emancipazione sociale e di autonomia del pensiero, messi in pratica da una scuola “militante” disseminata nelle periferie emiliane. Questa scuola detiene un primato di qualità come scuola aperta alla molteplicità delle culture e dei valori dell’ambiente antropologico e naturale, partecipata dai genitori e dalle forze sociali, progettata e condotta collegialmente dagli insegnanti, disponibile all’inserimento e all’integrazione delle diversità, articolata in percorsi formativi di sezione-classe e di intersezione-interclasse. E’ la scuola che afferma una teoria e una prassi della formazione scolastica nella prospettiva di una cittadinanza consapevole, attiva e solidaristica, per superare il retorico binomio antagonista di sapere teorico e sapere pratico. Si tratta di immagini pedagogiche e didattiche affidabili sul piano teorico ed empirico, che possono essere riassunte nella Pedagogia popolare e nella prassi dei modelli sperimentali di Loris Malaguzzi e Bruno Ciari, a cui corrisponde una pedagogia endogena che ha avuto tra le sue trame illustri pedagogisti accademici. Questa pedagogia è ancora oggi capace di contrapporsi con efficacia, perché ci appartiene, alle immagini d’infanzia e di adolescenza proposte da paesi stranieri e alle relative “didattiche da classifica” pensate per una società industrializzata che mercifica e omologa anche le azioni quotidiane della vita scolastica. Questa nostra scuola popolare, comunista? ci ha insegnato ad apprezzare e utilizzare l’ambiente di vita sociale e naturale degli allievi quale primo “libro” di lettura e di conoscenza della realtà, per citare Franco Frabboni; ha saputo valorizzare l’aspetto ludico della corporeità del soggetto in età evolutiva, l’aspetto sociale della comunicazione, il valore antropologico dell’ambiente, i caratteri della conoscenza esploratrice e scientifica di matrice montessoriana e piagetiana ed è riuscita a far convivere più teorie dell’educazione e più modelli didattici: il modello innovativo di scuola dell’infanzia, che si deve a Loris Malaguzzi, la scuola elementare promossa da Bruno Ciari e, infine, la scuola secondaria che apre la prospettiva di un sistema “integrato” scuola-territorio, e ciò si deve all’iniziativa di docenti, genitori, amministratori, forze sindacali e dell’associazionismo degli insegnanti, le leggi della Regione Emilia-Romagna. I nostri slogan sono ancora adesso “non-uno-di-meno”, “l’istruzione-non-basta”, “non-solo-scuola, in nome di un’istruzione socialmente e culturalmente spendibile che possa affiancare l’educazione durante il viaggio della formazione scolastica”, per favorire occasioni di incontro interistituzionale tra il sistema formale (la scuola) e il sistema non-formale (la famiglia, gli enti locali, il privato sociale, il mondo del lavoro, le chiese) e per estendere la formazione a tutto l’arco della vita. Il progetto emiliano ha sempre mirato a qualificare il doppio canale - percorso liceale e percorso della formazione professionale - per giungere al più presto al superamento dei canali formativi separati tra loro, potenziale fonte di dispersione e di discriminazione sociale. La scuola elementare, soprattutto, con la fine del maestro unico e onnisciente, ha conosciuto negli scorsi anni un’epoca di ricchezza e di apertura oggi in gran parte rinnegata. Non c’è altra strada per le moderne democrazie che garantire uguaglianza di opportunità per accedere ad un apprendimento di qualità e di massa senza il quale non vi può essere libertà, perché per essere libera una società ha bisogno di saperi che garantiscano una vera cittadinanza. Il tema della libertà attraversa la nostra scuola e ricorre negli scritti dei nostri ispiratori, da Rousseau a Montessori, da Mondolfo a Gramsci, da Borghi a Dewej. Ogni volta con riferimenti diversi, contesti socialmente e politicamente dissimili, ma idealmente vicini. Non è accettabile l’immagine negativa della scuola italiana che ci viene inviata da giornali e mass media, perché nella realtà e nei fatti è molto diversa. Nella scuola si fanno buone esperienze e gli insegnanti vi profondono grande impegno. Si tratta di un’operazione mediatica che vuol dare una immagine fuorviante della scuola pubblica per giustificare i tagli in bilancio. La situazione nelle nostre scuole, e in particolare nella primaria, appare drammatica perchè è praticamente impossibile soddisfare le richieste delle famiglie per un tempo lungo e una scuola di qualità. Questa situazione mette in ginocchio il sistema di istruzione pubblico, lede il diritto a una buona scuola, mentre la professionalità docente ne esce vilipesa e mortificata. Senza una scuola pubblica “di qualità” si vedranno ridotti i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Il tempo pieno alle elementari è nel caos: imparare con meno ore di lezione è la nuova scuola del tempo tagliato. Si tratta di una gestione della scuola miope e indifferente, che si richiama a un’epoca e a una società che non esiste più, quella che ci ha visti un tempo in un mondo limitato al perimetro della famiglia e della scuola. I bambini sono esposti oggi a una gran varietà di stimoli e di esperienze cognitive molto prima di arrivare a scuola e hanno bisogno di un insegnamento più dinamico e attento al diverso ritmo e sviluppo di ciascuno. Il ritorno al passato non è la panacea di tutti i mali, è solo uno slogan che ha mascherato i brutali tagli in bilancio. Non è colpa delle maestre che fanno del loro meglio, né degli immigrati, né dei bambini né dei genitori con le loro disuguaglianze e diversità. Intitola La Repubblica di lunedì 20 settembre: La fine della scuola elementare. Era il punto di forza dell’educazione pubblica italiana: ma ora anche l’istruzione primaria è al collasso... La scuola è assediata da una società diseducante i cui modelli contraddicono valori e comportamenti che l’insegnante cerca di trasmettere… Funzione essenziale della scuola pubblica nella democrazia che si professa tale… La primaria pre-Gelmini rispondeva alle esigenze di una società profondamente mutata e con spirito democratico: molto per tutti i bambini e speciale cura per i più deboli… Si smantella la scuola pubblica per foraggiare le scuole private.
Ma la storia dimostra che la nostra scuola sa resistere, una storia fatta di insegnanti malpagati, è vero, ma anche di successi, e di questi scriveremo.

martedì 29 giugno 2010

La grande forza del leggere

Ė scritto sulla locandina dedicata agli Spazi Lettura del Comune di Bologna:
“Il libro è uno strumento di conoscenza e veicolo di relazione…È un oggetto da esplorare, inventare e costruire…Una chiave di accesso al mondo dell’immaginazione” e prosegue “Letture e racconti, animazioni e laboratori, prestito libri per bambini.
Gli Spazi lettura di Bologna sono 9 e aderiscono al Progetto Nati per Leggere
www. bibliotecasalaborsa.it/ragazzi/natiperleggere
http://www.natiperleggere.it/
I servizi educativi territoriali sono opportunità educative distribuite nel territorio cittadino a disposizione delle famiglie in orario extrascolastico e delle scuole (nidi, scuole dell’infanzia, scuola primaria) in orario scolastico. Alle famiglie offrono spazi di incontro e possibilità di gioco condiviso fra genitori e bambini. Alle scuole offrono la possibilità di usufruire di percorsi didattici collegati al programma scolastico. In particolare gli spazi lettura si propongono di sostenere nei bambini la motivazione alla lettura, il piacere dell’ascolto e della narrazione, la curiosità del sapere e l’autonomia del pensiero. Attività: per l’utenza scolastica letture animate, laboratori su prenotazione adeguati alle diverse età e servizio di prestito libri. Per i bambini e le loro famiglie consultazione, prestito libri, attività di animazione della lettura, laboratori e altre iniziative.

Nata come aula didattica a metà degli anni Ottanta con l’uscita degli insegnanti comunali dalla scuola elementare, l’aula didattica “Leggere insieme” inizialmente è centro per la conservazione dell’ex biblioteca cittadina per ragazzi. In seguito al trasferimento della Biblioteca centrale per ragazzi da Villa Mazzacorati alla ex Sala Borsa, si è creata l’esigenza di andare incontro alle richieste degli utenti del Quartiere Savena-zona San Ruffillo, rimasti senza spazi lettura per bambini e ragazzi. Col tempo l’aula didattica si confugura così autonoma sulla lettura e sulla animazione del libro con relativa attività laboratoriale. Negli anni Novanta si formano i SET, a seguito di sperimentazione nella scuola dell’infanzia e in presenza di spiccati interessi professionali, e a questi si collegano gli spazi lettura. La differente provenienza delle professionalità che operano all’interno di questi centri (insegnanti di nido, scuola dell’infanzia, scuola elementare) ha fatto sì che ciascun centro fosse caratterizzato da differenti modalità e specifiche competenze e questo rende ricca e quasi unica l’esperienza dei centri di lettura. L’aula didattica “Leggere insieme” ha potuto utilizzare una rete di risorse messe a disposizione dal quartiere a partire dalla metà degli anni Novanta e usufruire degli interventi a sostegno della qualificazione e innovazionedei servizi educativi del territorio.
Le intenzioni dell’aula didattica
“Leggere insieme” si propone come luogo a cui far riferimento, cioè uno spazio familiare dove ognuno può portare, condividere e mettere a disposizione le proprie esperienze e le proprie capacità. Un servizio diverso da quello della biblioteca, un servizio capace di dare una risposta alle esigenze dei bambini e a quelle dei genitori, un luogo di socializzazione, di gioco e di autonomia per i bambini, ma anche di aggregazione e di confronto per le famiglie che intende:
1. garantire un servizio sia alle scuole che ai cittadini
2. continuare le attività di lettura con laboratorio per le scuole elementari del quartiere
3. stabilire con le scuole dell’infanzia un rapporto costruttivo di compartecipazione alla progettazione didattica e di coinvolgimento nell’attuazione del progetto.
4. ampliare l’offerta all’utenza libera (bambini, genitori, nonni…) con l’apertura dello spazio due volte la settimana
5. raccordarsi con gli altri servizi del quartiere che collaborano in un’ottica di rete
6. offrire visibilità e riconoscimento dell’offerta per raggiungere sia le insegnanti che i cittadini del quartiere attraverso un lavoro puntuale di informazione e documentazione.
7. arricchire costantemente il patrimonio librario sempre in aggiornamento delle proposte delle proposte dell’editoria per ragazzi

Scrivono Lucia e Valeria, che lavorano a “Leggere insieme”:
definire il nostro profilo non è semplice, poiché si è costruito sia attraverso continui mutamenti di carattere pedagogico, culturale, istituzionale che professionali e formativi. Tale profilo si definisce in relazione a identità consolidate in esperienze precedenti di lavoro (scuola elementare di provenienza) , ad una formazione in continua evoluzione, a confronti con esperienze e tipologie similari, a territori culturali in cui il luogo di lavoro è un luogo di impegno didattico ma anche un laboratorio costante di ricerca pedagogica e organizzativa. In questi anni la nostra figura professionale si è modificata proprio per i cambiamenti suddetti e, da una formazione esclusivamente scolastica, si è spostata verso altri tipi di professionalità…
È chiaro che il profilo professionale dell’insegnante è il supporto fondamentale su cui poggia tutto il nostro lavoro: la competenza disciplinare, la competenza psico- pedagogica che permette di avere relazioni interpersonali tali da capire i bambini, la competenza didattica che consente di rendere un insegnamento accessibile. Ma si tratta di un’identità di insegnante caratterizzata da modalità inconsuete, in cui non c’è il dovere di valutare le prestazioni dei bambini ma solo il dovere di instaurare vincoli di piacere e di fiducia in grado di coinvolgere anche le insegnanti che partecipano ai laboratori e diventare un momento di riflessione e di confronto sulla didattica del sistema scolastico…Insieme alla professione insegnante si è andata delineando quella dell’animatrice culturale che nelle sue caratteristiche fondamentali richiede collaborazioni con associazioni e istituzioni per costruire una rete di attività e di relazioni e un sistema di informazioni…

Il metodo
I percorsi sono divisi in due momenti: la lettura o narrazione di una storia e l’attività di laboratorio
La lettura ad alta voce è talvolta accompagnata da oggetti che riescono a catturare l’attenzione del bambino. Il laboratorio completa, attraverso il fare, l’esperienza intorno al libro, le tecniche sono quelle delle attività laboratoriali: tecniche pittoriche, utilizzo di oggetti per imprimere il segno, carte di vario spessore, strappate, accartocciate e usate in modo creativo e personale.
Per i bambini di tre anni si realizzano percorsi di letture animate (tre incontri di un’ora a cadenza settimanale) mediante l’uso di manopole, pupazzi e oggetti vari. Si raccontano e si leggono storie di emozioni, sentimenti, paure. Il tema degli incontri è da concordare con le insegnanti della sezione.
L’età dei tre anni riguarda sia la scuola dell’infanzia che il nido.
L’esperienza avviata da più anni con i nidi e le scuole dell’infanzia del quartiere si pone nella direzione di far nascere nei bambini, fin dai primi anni di vita, il desiderio di leggere, di accrescere il gusto e l’amore per il libri, la curiosità di esplorare mondi magici che solo con la lettura si riescono a conoscere. Infatti Tiziana, Mirella e Grazia del nido G. Rizzoli, adiacente a Villa Mazzacorati, sede del centro di lettura, affermano di aver lavorato sul rispetto dell’ambiente, degli animali, delle cose, degli altri e di aver fatto delle letture specifiche di libri scelti da Lucia e Valeria: da una raccolta di piante alla costruzione di un libro in cartone ondulato di vari colori, su di ogni pagina ci sono foglie e animali.
In questo nido ci sono sei educatori e tre collaboratori, in seguito a una riduzione del personale è stata chiusa la sezione dei piccoli. Il lavoro di lettura viene fatto coi bimbi più grandi. C’è continuità, andiamo tutti gli anni, ma ogni anno è diverso.Le responsabili del centro lettura drammatizzano una storia, l’importante è avere una novità. In seguito, quest’anno siamo andati dalla Maga Viola all’orto botanico di Scascoli, frazione di Loiano, ai giardini del Casoncello: la Maga viola compare dal bosco, allora tutto diventa viola…

Per Lucia e Valeria questa pedagogia della lettura propone:
1. …la lettura ad alta voce è il punto di partenza di qualsiasi attività. I bambini imparano attraverso la lettura ad usare forme proprie della lingua scritta…lo sviluppo del linguaggio e, successivmente, l’apprendimento della lettura e della scrittura, sono influenzati in modo determinante dal modo in cui sono stati trasmessi al bambino i primi materiali linguistici e dal fatto che si sia cominciato a leggere ad alta voce prima ancora che potesse capire cosa si leggesse…
Racconta Franca Tomaselli, insegnate presso la scuola primaria C. Pavese di Bologna:
per due-tre anni siamo andate noi al centro lettura. Lucia e Valeria sono venute anche alla scuola Pavese perché non è più possibile la compresenza dal momento che utilizziamo le ore eccedenti per supplire alle eventuali assenze dei colleghi. Il titolo del progetto è “Che paura”! e l’ho realizzato con ventiquattro bambini di prima. Lucia e Valeria hanno letto i racconti La mano della strega, Piccolo orso, Il mangiasogni e i bimbi hanno fatto le loro osservazioni sul libro letto. Gli incontri sono stati tre a tema di due ore ciascuno:
- come si trasformano gli oggetti quotidiani di notte nel buio
- nella notte, anche se c’è buio, ci sono la luce delle stelle, della città, della luna, delle lucciole
- conclusione del libro e invenzione di una filastrocca sul personaggio “il mangiasogni”.
Una voltra a scuola l’attività ha avuto un seguito: abbiamo prodotto piccoli testi sull’oggetto immaginifico e come si trasforma sotto l’effetto della paura. Ad ogni rientro in classe i bambini hanno composto testi sui loro sogni belli e brutti e su come cercano di superarli, ma soprattutto delle poesie, e completato il disegno del futuro libro. Sono state svolte attività sulla seconda parte del libro con collage, ritaglio su quello che percepivano pur essendo notte. Ho curato l’arricchimento lessicale, ad esempio, coi suoni delle parole che si usano nel buio (bisbigliare, sussurrare, scricchiolare, sognare, etc...) e le qualità del buio (magico, pauroso,…), scritto frasi e pensieri in quantità. I bambini hanno imparato poesie sul tema della paura e del buio e, a conclusione, illustrato l’esperienza con cartelloni e disegni. In questa scuola abbiamo un progetto sulla lettura e il libro che si intitola Gioco libero da dieci anni, e relative attività di laboratorio.

2. Le diverse modalità di approccio al libro elaborate nei centri di lettura sono un’occasione affinchè insegnanti e genitori si confrontino con pratiche di lettura diverse: si offre l’opportunità di sperimentare una lettura basata sulla socialità (si legge insieme), sul piacere (si legge non per obbligo), e sull’ascolto di una voce che legge. Riteniamo assolutamente importante la lettura ad alta voce ma altrettanto importante è la partecipazione attiva del bambino che può essere lasciato libero di fare collegamenti autonomi tra le cose ascoltate e le proprie conoscenze…
3. L’approccio precoce al piacere del suono delle parole e poi della costruzione del significato e del senso della storia porta inevitabilmente al desiderio di leggere per conto proprio. La lettura ad alta voce che noi poroponiamo dà alla lettura stessa una forte valenza affettiva che contribuisce a creare un ambiente favorevole allo sviluppo del piacere di
leggere…l’obiettivo del centro lettura è di avviinare il bambino al libro ma non per un
precoce insegnamento della lettura ma per creare intorno all’esperienza linguistica un clima
di sicurezza e di piacere.
Marta Sarti si impegna da anni sull’attività di lettura, è assidua frequentatrice di Leggere insieme, lavora prevalentemente con la classe della scuola primaria G.P.Costa di Bologna, dove traduce questa sua passione in risultati sorprendenti in libri il cui ricavato è devoluto all’Associazione Margherita (in memoria di Margherita Minerva Calanchini). Come è scritto su Un mondo per noi( libro prodotto da bambini e genitori e tradotto nelle lingue di origine delle famiglie straniere dai genitori stessi), lo scopo dell’associazione è aiutare persone gravemente svantaggiate e soprattutto i bambini in Brasile…Il ricavato della vendita di questo libro finanzia il Projeto Saude dell’Associazione Margherita alla favela Rocinha in Brasile.
Testi e illustrazioni sono dei ragazzi, ma anche dei genitori. Ilde Castellari è responsabile della biblioteca della scuola e Brunella Puppoli, con Roberta Montresor, cura il progetto grafico.
Scrive Marta Sarti nell’introduzione del libro Un mondo per noi (classe Va, AS 2007-2008):
Questo libro è il risultato di un percorso impegnativo ed appassionante in una classe con bambini di diverse provenienze geografiche. Si è voluto realizzare un “prodotto” comunicativo in cui tutti i ragazzi potessero riconoscersi e veder realizzata la propria diversità culturale e individuale. Ricordi, esperienze, fantasie ed emozioni sono state rielaborate attraverso il linguaggio creativo, espressione comune. Le immagini sono state realizzate con materiali poveri provenienti dalle varie culture, così la vita concreta e la quotidianità sono rientrate nel circuito creativo. La storia, in rima, contiene i temi più sentiti dai ragazzi: la scoperta e il rispetto per la natura, la meraviglia per gli incontri estemporanei, il divertimento, il bisogno di fantasticare assumendo un ruolo magico che rende tutti uguali e tutto possibile…Il “viaggio” è il filo conduttore del libro e rappresenta l’esperienza reale di molti alunni che da varie parti del mondo sono arrivati a noi; il “viaggio”è anche la metafora del cammino che abbiamo percorso insieme e che ora continua…Grazie all’impegno di due genitori che hanno tradotto il testo in rumeno e in russo, sarà possibile avviare un gemellaggio con una scuola primaria moldava e il ricavato della vendita dei libri servirà a potenziare un ambulatorio pediatrico nella favela di Rocinha di Rio de Janeiro.
Per queste insegnanti il lavoro didattico deve avere un senso, le attività dei bambini non sono fine a se stesse ma finalizzate a una responsabilità sociale e si espande nel mondo. Esse riassumono così le loro intenzioni:
1. si può entrare nelle storie
2. si possono integrare realtà e fantasia, lettura e scrittura
3. è possibile migliorare la comunicazione
4. bisogna tirare fuori le risorse
In un altro libro Cari amici, vi racconto la mia storia… le insegnanti hanno raccolto quanto i bambini hanno raccontato della storia dei loro genitori e hanno realizzato uno spettacolo in quartiere. Per svolgere queste attività servono fiducia negli adulti vicini e padronanza della lingua.
I bambini della scuola hanno illustrato anche tre volumi di poesie: uno la classe di Marta Sarti, uno è stato illustrato alla scuola San Domenico Savio, il terzo a Imola.
- Abbiamo partecipato a “Fieri di leggere” iniziativa di promozione alla lettura organizzata dalla libreria Giannino Stoppani, con la collaborazionbe del Comune e della Provincia, durante la quale è avvenuta la presentazione ufficiale dei libri sulla poesia. Quest’anno non ho portato a termine il progetto come dovevo perché nelle ore delle compresenze ho sostituito i colleghi assenti.

Il libro
La lettura che facciamo è una lettura ad alta voce che esercita sul bambino una forte attrattiva. Questo è un momento magico in cui si costruisce il piacere della lettura, la soddisfazione di “leggere insieme” e di scoprire il mondo. Per questo occorre un libro attraente, ricco di presenze e che richiede un’esplorazione nella quale il bambino è accompagnato dall’adulto. Il primo contatto con il libro è di tipo tattile: libri di stoffa, plastica, libri “da leggere con il corpo”, libri che sono giocattoli che i bambini toccano, sfogliano e che li prepara a conocere i libri di cartone. Questa lettura-gioco che il bambino fa con l’adulto è un momento di grande complicità emozionale anche per il modo con cui l’adulto si dedica completamente al bambino. I primi libri che si leggono sono brevi e semplici storie legate ad elementi riconoscibili da parte del bambino: routine domestiche, momenti rituali che scandiscono la giornata, storie ripetitive e prevedibili.; piccole storie di animali antropomorfizzati, per poi passare alle filastrocche e ai racconti…
Il libro è un mediatore, perché la lettura arricchisce e aiuta a conoscere il pensiero degli altri, è un esercizio volto all conquista della capacità di ascoltare e di confrontarsi.
Tra le insegnanti dell’aula didattica e le insegnanti della scuola dell’infanzia che partecipano ai percorsi di lettura è da prevedere una piena e condivisa collaborazione che permette di progettare al meglio l’attività e renderla più vicina possibile alle esigenze didattiche dell’insegnante e ai bisogni dei bambini. Con i genitori è previsto un incontro, da effettuarsi nella mattina del sabato all’interno dell’aula didattica a conclusione del percorso, per renderli partecipi del lavoro e per avvicinarli allo spazio lettura…
Anna, Caterina e Sabrina della scuola dell’infanzia W. Disney, dicono che si tratta di integrazione fra il lavoro che si fa abitualmente a scuola e quello fatto in biblioteca. Sabrina mi elenca una serie di titoli di libri accattivanti che hanno letto insieme : Il litigio, Sono io il più forte, Io non ho paura, No, no e poi no, Lavati le mani, La fmiglia topini va a scuola, Non voglio andare a letto.
Dice Sabrina:-
La tematica di sfondo è “Il mondo che vuoi”, poi lo abbiamo allargato sul rispetto, un argomento a cui ricondurre le attività, l’anno scorso era sul rispetto dell’ambiente, quest’anno è il rispetto delle persone. Una volta facevamo due percorsi, uno coi tre anni e uno coi cinque, ora ne facciamo solo uno coi tre anni perchè le insegnanti sono in servizio una di mattina e una di pomeriggio e occorrono ore aggiuntive per portare fuori dalla scuola i bambinui. Le ore in più delle insegnanti sono pagate dal Quartiere e ci sono a tagli.

Un libro ci salverà
In che misura nell’era dei videogiochi e della TV libri e lettura sono un momento importante nella vita dei bambini di oggi e di domani? Bambini, ragazzi, studenti ci consegnano il mondo della loro vita che, per effetto della rivoluzione informatica, è dotata di un’intelligenza definita da molti simultanea e generica, globale e olistica, che non si cimenta nell’esplicitazione verbale e nell’analisi dell’esperienza, ma preferisce l’esperienza vissuta nell’emozione totale e poi rievocata, tipica dell’homo videns. Sembra che i ragazzi si soffermino meno sull’esplicitazione verbale e l’analisi dell’esperienza perché quotidianamente esposti alla televisione e al computer che hanno sottratto alla scuola la sua funzione di avamposto culturale. Di fronte ai passaggi epocali non ci sono ricette già pronte ma prove del pensiero, sfide, pazienti attese, movimenti a tentoni, mosse, giuste e sbagliate. Il punto è: mondi reali e mondi possibili, esperienze e narrazioni. Quando si va scuola il libro è un dovere che induce a prendere le distanze dalla forma del piacere, allora questo lettore eviterà di leggere libri a meno che non riesca a far tacere il mondo in cui si trova per addentrarsi in quello del libro. Leggere è una forma di pensiero e tale resta anche in questo momento se riusciamo a mettere il silenzio al nostro mondo sovrapopolato e rumoroso e ascoltare quello di un altro. C’è sempre una storia che ci fa incontrare in un altro contesto gli altri. I bambini e i ragazzi possono capire e apprezzare che la vita sia fatta anche di testimonianze e di scrittura, di confronti e di domande, soprattutto di parole. Giocare coi suoni delle parole è una chiave per appropriarsi della lingua e per divertirci con lo strumento più universale a nostra disposizione. Non è impossibile solleticare l’attenzione dei bambini per convincerli che vale la pena di seguire l’avventura che viene loro proposta dall’impegno di chi crede che una lettura infranga la banalità, il conformismo, lo stereotipo e stimoli a pensare in proprio.
Questa possibilità è in mano ai genitori, agli insegnanti e agli educatori. La mediazione degli adulti è, fin dal principio, essenziale: il bimbo che vede i suoi familiari leggere con piacere leggerà.

Giuliana Santarelli

mercoledì 26 maggio 2010

Narrare e narrarsi.

Sono trascorsi ormai molti anni da quando Lyotard ha scritto della crisi dei grandi racconti che organizzavano i saperi in maniera organica e gerarchica, a favore di una rappresentazione esaustiva e tranquillizzante della realtà. A prescindere dal loro fondamento antropologico ( pensiamo alle sacre scritture, ai testi di omero), l’uomo moderno ha comunque necessità di narrare. L’emergere dell’orientamento narrativo è stato favorito soprattutto dalla messa in discussione della differenza fra realtà e finzione, materiale e immaginario: ciò che viene raccontato diventa reale, da cui grande interesse per la cultura narrativa e insorgenza di un orientamento narrativo. Un tempo c’erano luoghi devoluti alla narrazione: la piazza, il mercato, l’osteria, il giardino pubblico, luoghi questi che sopravvivono in altre culture o lontano dalle grandi città, dove è ancora possibile incontrarsi perchè gli stili di vita continuano ad avere tempi e ritmi consoni agli incontri, agli ascolti e alle conversazioni gratuite sotto forma di chiacchiere, dove la cultura orale non ha perso del tutto significato.
Nella nostra società il tempo della produzione sopravanza quello della relazione e della narrazione anche a noi stessi. La città è diventata il centro di raccolta e allo stesso tempo di dispersione delle storie umane, nella polis si consuma la consapevolezza di vivere in una società che perde la memoria.

Educazione e narrazione
Per contrastare quanto sta accadendo, diviene importante ridare spazio alle reciproche narrazioni e voce alla propria interiorità, rivestire le parole, le emozioni, le domande che nascono giorno dopo giorno, per recuperare allo stesso tempo la nostra capacità di ascolto. La narrazione riannoda i fili delle relazioni in un mondo che facciamo fatica a decifrare e in cui stentiamo a costruire legami. In più la narrazione aiuta a stabilire legami tra l’eccezionale e l’ordinario e a dare significato all’insolito. La narrazione degli altri si intreccia con la nostra in modo da essere una continua trama che si modifica, che non lascia morire dentro di sé la capacità di vedere e raccontarci il mondo in modo sempre nuovo e affascinante. Si tratta di lasciarsi contaminare dai significati degli altri al fine di creare significati nuovi per ambedue, da ciò vengono ricchezza e varietà. Accettare dentro di sé la convivenza, così ogni incontro modifica il nostro modo di essere, a patto che siamo in ascolto degli altri e di noi stessi. Dice Stefania Maiani della scuola dell’infanzia G. Garibaldi, IC 11, di Bologna, una delle insegnanti che ha partecipato a Indizi, durante il nostro incontro:

Il cuore del mio lavoro è che dentro alla scuola io faccio un viaggio. Ho cominciato con delle convinzioni, poi mi sono lasciata modificare dai fatti, da ciò che accade, ho lasciato che le persone incontrate mi cambiassero. E poi ci sono i bambini. Il valore di questo lavoro coi bambini stranieri ti veste di nuovo, ti dà una visione diversa.
La narrazione si radica nell’esperienza e il recupero dell’esperienza avviene attraverso la narrazione. Esiste un rapporto esperienza-espressione, per cui non è l’esperienza che organizza l’espressione ma viceversa. L’espressione è ciò che per prima dà all’esperienza la sua forma nonché la specificità del senso. L’esperienza ci resta inaccessibile fino a quando non si esprime attraverso il linguaggio. Il significato di un’esperienza è sempre legato a delle emozioni, in parte apprese durante l’educazione, dal contesto culturale di appartenenza e dalle categorizzazioni personali. L’importanza dell’ascolto come caratteristica da recuperare e da educare diventa allora consequenziale.
Bruner ci dice che è la spinta dell’uomo a organizzare la propria esperienza in modo narrativo a far sì che il bambino, nell’acquisire il linguaggio, dia priorità a questo aspetto della conoscenza. I bambini comprendono storie molto prima di essere capaci di parlare.
A scuola, in famiglia, in altri ambiti educativi possiamo fare in modo che gli antichi rituali, come il racconto della fiaba o l’invenzione individuale e collettiva possano aiutare le nuove generazioni ad immaginare scenari non predeterminati, spazi da gestire in modo creativo nel rispetto delle esigenze e delle differenze individuali. Siamo da tempo autorizzati a pensare la narrazione uno strumento pedagogico di grande attualità, essa fonda un modo di essere della pedagogia.

Idee pedagogiche
Pedagogia narrativa va riferito al narrare come educare narrando, inteso come dare un impianto narrativo al percorso educativo, concepire l’educazione non solo come luogo della trasmissione del conoscere, ma anche come ascolto reciproco fra soggetti narranti la cui identità è narrativa. Le ragioni della pedagogia narrativa nella scuola dipendono dalla diffusa domanda di narrazione nella società di oggi per il bisogno di appartenenza, di comunità, allo scopo di ripristinare legami con luoghi, culture, storie. Se non si narra non si scambiano esperienze. L’elemento della diversità riguarda le città attuali e se ne prevede ancora di più in futuro. Una delle sfide delle nostre città sta nel promuovere l’equilibrio e l’armonia tra identità e diversità, tenendo conto dei contributi delle comunità che ne fanno parte e del diritto di tutti coloro che in essa convivono di essere riconosciuti a partire dalla propria identità culturale. Infatti viviamo in un mondo di incertezza che privilegia la ricerca di sicurezza e che spesso si esprime con la negazione dell’altro. I processi di conoscenza ricercano dialogo e partecipazione come rimedi alla mancanza di fiducia.

Il lavoro di documentazione
Nei libri Inventastorie. Narrazioni con immagini e parole. Dalla prima alla terza classe di scuola primaria, a cura di Dora Mattia e Vuoi differenziARTI? Percorso di riciclo artistico nella Scuola dell'infanzia, a cura di Stefania Maiani e Sara Beccari, ci sono tracce delle circostanze e delle situazioni in cui prende avvio l’idea che sarà l’oggetto della documentazione. Le maestre raccontano come sono nati i progetti, quali le metodologie seguite e l’organizzazione della scuola per consentirne la realizzazione. I progetti di cui si parla si realizzano nella scuola di provenienza, coi bambini e i colleghi. Le riflessioni subentrano successivamente, sotto la spinta di sollecitazioni che hanno il compito di riordinare, chiarificare agli altri e a se stessi in quanto educatori il senso delle proprie azioni e aspettative e la narrazione dà spessore culturale e chiarezza alle esperienze. La capacità di scambiare esperienze è a fondamento delle storie didattiche narrate e documentate nei libri che sono usciti dall’ iniziativa di Ri.E.Sco–Laboratorio di Documentazione e Formazione, Comune di Bologna www.comune.bologna.it/istruzione/laboratorio/index.php
Protagonisti sono i bimbi. In un caso, sono le storie inventate dai bambini che, in un lavoro in progress, dalla prima alla terza classe di scuola primaria, giungono dalla scrittura spontanea alla scrittura individuale, nell’altro si tratta di un percorso creativo legato all’arte e al riciclaggio, quindi una storia di oggetti recuperati e trasformati attraverso l’immaginazione dei bambini della scuola dell’infanzia e la fantasia delle maestre.

Scrive Stefania Maiani, la maestra: …pensavamo che in questa fascia di età la proposta artistica potessse essere intesa…come pretesto per esperienze creative e originali, fonte di piacere , immaginazione, sogno…Fare arte come supporto nei processi di conoscenza del sé e delle strategie personali.
…calato nella realtà della scuola, frequentata da molti bambini provenienti da diversi paesi, il progetto ha evidenziato subito le sue numerose possibilità di toccare argomenti forti quali l’identità e le differenze dei singoli, adulti e bambini. Il collegamento tra il percorso artistico effettuato dai bambini e il successivo laboratorio proposto ai genitori ha evidenziato ulteriormente la parte del lavoro le riguardava le identità e le differenze…Questo lavoro ha centrato la sua attenzione sul tema dell’identità e delle differenze: proteggere le singole dotazioni di partenza, rendere chiari e riconoscibili i tratti di ognuno e allo stesso tempo porre attenzione al rispetto per la molteplicità. In questa fascia di età non sempre i bambini riescono a raccontarsi, a mettersi in gioco. Per permettere loro di farlo, si è pensato ad un approccio creativo in cui gli oggetti mediatori sono diventati il tramite. Se è vero che ogni individuo compie delle scelte in cui si può riconoscere, gli oggetti scelti, attraverso il piacere di fare insieme, soni diventati narratori, la rappresentazione del sé.

E così la maestra di scuola primaria A. Grosso, IC 5 di Bologna, Dora Mattia:
“Si è venuto a creare così un setting narrativo in cui i protagonisti delle storie erano gli stessi bambini, in un’interrelazione tra testo e contesto relazionale: infatti la narrazione è sempre elaborata a partire del punto di vista del narrante ed è accolta/compresa in base al punto di vista dell’ascoltatore. La narrazione è esperienza fortemente connotata a livello emotivo-affettivo e relazionale tanto che possiamo considerarla un fatto interpersonale…Inoltre il racconto dei bambini diviene un contesto preferenziale per far scattare forme di identificazione e svelare indirettamente, personali modi di essere, di sentire, di conoscere e di elaborare. Ho sostenuto e incoraggiato questa attività perché la narratività può essere una modalità di organizzazione dell’esperienza…Il modo più elementare di elaborare l’esperienza è quello di renderne conto attraverso la narrazione della medesima e che esiste una specie di isomorfismo tra il raccontare e il modo di apprendere della mente”.

In tutti due i progetti al centro sono le tematiche dell’esperienza didattica narrata agli altri e a se stessi, quindi l’importanza della documentazione, unitamente al tema
dell’identità/differenza, dell’incontro e dell’ascolto dell’altro.
In entrambi i progetti le maestre si raccontano, descrivono tempi di attesa e fasi del progetto, aspettative e condivisioni, tentativi e risultati, ma soprattutto parlano di attenzioni, emozioni, gruppo e successione delle azioni che rivelano una trama di affetti e sguardi attenti, rivolti sì ai bambini, ma anche a esse stesse impegnate nell’atto educativo.

Ho sempre cercato, nella mia esperienza di insegnante, di pormi in atteggiamento di ascolto e di attenzione a ciò che dicono i bambini..,per costruire una relazione/comunicazione positiva, per andare verso gli obiettivi formativo/culturali, scrive Dora nel libro, e aggiunge durante il nostro incontro: il mio cuore professionale è nelle storie e nella lettura. Bisogna partire dalla situazione che si ha di fronte, ho scoperto che i bambini avevano desiderio di raccontarsi e mi sono affidata alla situazione senza sapere bene dove stavo andando. Il percorso è diventato strutturato nel momento in cui ho fatto la documentazione.
A seguire, Stefania:
Giunta quasi al termine della mia carriera scolastica , dopo 35 anni di servizio, sento ancora la necessità di fare il punto sulla mia idea di scuola…La mia scuola oggi è fatta di sperimentazione continua, quella in cui i bambini scoprono problematiche e soluzioni, si mettono alla prova, si incuriosiscono…


Entrambe le esperienze si caratterizzano per lo stile laboratoriale, con materiale a disposizione, attività in piccolo e grande gruppo, dove ciascuno consegue risultati in concorso con altri. E’ la scuola del fare, a cui il laboratorio garantisce il carattere sperimentale e il tempo fa da un alleato.
Ė Sara Beccari, studentessa di Scienze della Formazione Primaria, a proporre il progetto di arte e riciclaggio alla scuola G. Garibaldi durante il suo tirocinio. Come scrive Sara, il percorso è iniziato al MAMbo, il Museo d’Arte Moderna di Bologna, dove i bambini hanno partecipato ad un laboratorio sui materiali dell’arte organizzato dal Dipartimento Didattico Del Museo.

La parola a Sara, la tirocinante
Una parola: sorpresa. Questo lavoro per me è stata una sorpresa perché mi ha portato un risultato che non avevo ipotizzato. Penso che tutto questo sia successo perché ho incontrato Stefania, per fare questo avevo bisogno di persone disponibili. Per me si è trattato di un tirocinio in più, in vista della laurea. Sono stata considerata come un’insegnante, la maestra d’arte, è una scuola accogliente per noi studenti. All’università si studia la documentazione, ma in questo caso si è trattato di una cosa diversa, perché l’impatto è stato forte quando ho partecipato a “Indizi in diretta”. Il Tirocinio ha una sua organizzazione e articolazione nella prima formazione, come fase in cui prende forma un profilo professionale complesso e dinamico, che si accresce a contatto col sapere esperto della scuola, fatto di ricerca e di azione, di riflessione e di innovazione. Nelle attività di tirocinio e di laboratorio a Scienze della Formazione Primaria si è dato spazio all’apprendere in situazione mediante la riflessione, sia attraverso il coinvolgimento attivo dei futuri insegnanti nei contesti lavorativi durante il Tirocinio, sia attraverso la simulazione di contesti di apprendimento efficaci nei Laboratori. Il modello formativo realizzato ha portato al riconoscimento di un sapere scientifico fondato tanto sulla pratica didattica quanto sulla teoria, reso possibile unicamente per l’impegno e la collaborazione dell’università e della scuola che sono riuscite ad avviare un partenariato sul riconoscimento reciproco delle rispettive competenze.
La tesi di Sara si intitola “Facciamo la differenza. Un progetto educativo sul tema dell’arte e del riciclo alla Scuola dell’Infanzia”, Tesi di Laurea in Disegno e altre arti figurative, Relatore Prof. Ines Bartolini e Correlatore Stefania Maiani, Anno Accademico 2008/2009. Nell’Abstract si legge: in data 21 febbraio 2009 il progetto è stato accolto dal Centro di Documentazione e Formazione del Comune di Bologna e presentato durante l’iniziativa “Indizi in diretta”.

Giuliana Santarelli

mercoledì 21 aprile 2010

Indizi in diretta. Un laboratorio per la didattica.

Giuliana Santarelli
Con un'intervista a Carmen Balsamo e Daniela Faggioli.

L’azione dell’insegnare si configura come oggetto d’analisi mai sufficientemente esplorato, nonostante l’intensa proliferazione degli studi nelle scienze dell’educazione. Per quanto concerne la diffusione delle pratiche d’insegnamento, si constatano una rilevante interdipendenza fra le agenzie che a vario titolo si occupano di attività didattiche, il coordinamento tra le numerose professioni che l’insegnamento genera e che per l’insegnamento si differenziano, il richiamo al loro denominatore comune, l’azione, appunto, dell’insegnare. Coloro che insegnano, sia che si rivolgano a bambini, adolescenti e adulti, sia che si trovino in sedi istituzionali diverse e impegnati in discipline umanistiche o scientifiche, svolgono attività simili che vanno sotto il nome dell’insegnare. Non viene percepita la profonda affinità di professioni che si attivano all’interno di quadri istituzionali lontani tra loro per ragioni storiche o culturali, ma vicini perché insistono sul tema educativo-umanistico e sullo stesso territorio. Scuola, corsi di formazione, formazione universitaria, per quanto abbiano come protagonisti i docenti alle prese con l’insegnamento, non si affidano, per statuti diversi, ad una preparazione comune, e le professioni educative faticano ad individuare un filo unitario.
In questo contesto Scienze della Formazione ha accettato la rilevantissima sfida politico culturale di occuparsi della formazione dei futuri formatori-insegnanti assegnando un ruolo significativo alla didattica. Si definisce professionalizzante un modello organizzativo che privilegia lo sviluppo di sinergie tra teoria e pratica, dove è forte la presenza di una metodologia didattica concentrata su un maggior utilizzo di lavoro in sottogruppo e individuale, ma anche di esercitazioni con gli studenti, di attività di laboratorio e tirocinio. Il laboratorio universitario è un mediatore culturale, luogo di incontro tra sapere e saper fare, tra didattica generale e didattica disciplinare. E’ uno spazio intenzionalmente allestito che trova nei mediatori culturali stessi della esercitazione-riflessione pratiche didattiche funzionali ed efficaci.
Il tirocinio è invece luogo di incontro fra sapere e saper fare in situazione, per l’esercizio effettivo della professione. Il tirocinio si caratterizza esplicitamente sul piano didattico e mira alla padronanza di competenze concrete ed operative proprie del contesto lavorativo.
Questo modello didattico universitario si avvale di mediatori della trasmissione-rielaborazione delle conoscenze che incontrano le pratiche messe in atto nella formazione e nell’educazione. Incontriamo attività di laboratorio nelle nostre scuole di ogni ordine e grado e la pratica seminariale, sotto varie forme, appartiene ormai alla tradizione didattica delle nostre aule.
In Emilia Romagna esistono numerose strutture a sostegno del miglioramento dell’insegnamento, dell’apprendimento e dello sviluppo professionale dei docenti. Questi centri incrociano le loro proposte formative con le didattiche della formazione degli adulti e con le pratiche didattiche in uso nelle nostre scuole, allo scopo di rendere più efficace il lavoro in aula dell’insegnante. Sono esse stesse dei “centri mediatori”, sia in campo culturale che didattico.

Il LABORATORIO DOCUMENTAZIONE FORMAZIONE è situato nel Centro Storico di Bologna in via Ca’ Selvatica 7, tra via Nosadella e via Frassinago.
Si legge sulla home page:
Struttura di promozione della cultura dell'infanzia, delle istituzioni educative ad essa connessa e della progettualità pedagogica in ambito educativo, scolastico ed extra scolastico; tessuto connettivo tra le diverse esperienze educative del territorio cittadino, in collegamento e confronto con esperienze di altre città italiane e straniere; accreditato tra gli Enti per la formazione scolastica, ai sensi del D.M 177/2000, con decreto del 31/7/02 e aderisce alla Rete dei CDI (Centri di Documentazione per l'Integrazione);
individuato dalla Regione Emilia Romagna come luogo di collaborazione tecnica privilegiata per l'attuazione di un punto di raccolta regionale di materiali di documentazione in materia di servizi socio-educativi (0-6) di cui la delibera di Giunta P.G.N 185527/2002.
Si rivolge ad educatori, insegnanti, pedagogisti, studenti, Enti, Associazioni e famiglie interessati alle tematiche educative. Comprende due settori tematici: Sezione cultura dell' integrazione e Sezione educativa. Offre servizi di: documentazione e consulenza, informazione, formazione, accoglienza delegazioni, organizzazione tirocini.
IL Laboratorio da maggio 2009 fa parte del Centro Servizi e Consulenza Ri.E.Sco
(Risorse educative e scolastiche) del Comune di Bologna.

....................................................................................
Intervista a Carmen Balsamo e Daniela Faggioli sull’iniziativa:
“Indizi in diretta. Tra comunicazionee documentazione”.


Si tratta di un’iniziativa maturata all’interno del Centro Ri.E.Sco – Laboratorio di Documentazione e Formazione del Comune di Bologna. Nasce come idea, aperta al confronto con altri interlocutori, costruita attorno al tema della comunicazione- documentazione. Nell’anno scolastico 2007/08 è sperimentata infatti in collaborazione con l’ex IRRE Emilia Romagna che segnala una scuola interessata a parteciparvi. Durante l'evento sono presentati tre materiali provenienti da diversi Servizi /Scuole: due documentazioni video e tracce in fieri di una possibile documentazione cartacea da confezionare.

Il percorso, che si svolge in un incontro, prevede due parti:
1. Documentazioni video dialogate: i materiali video sono offerti come mediatori per rintracciare gli indizi attorno ai quali gli insegnanti/autori hanno costruito il disegno narrativo. La ricerca di indizi fondanti è orientata da voci di commento raccolte all’interno del gruppo che ha scelto i materiali proposti e da citazioni e suggestioni tratte da scrittori .
2. Dalle tracce ad una possibile documentazione cartacea: partendo da materiali grezzi si raccolgono indicazioni dove anche le segnalazioni dei partecipanti potranno concorrere a offrire spunti che l’insegnante/ autore della documentazione cartacea potrà considerare come possibili direzioni di senso nella costruzione della sua documentazione.
L’iniziativa si connota come performance formativa dove il valore dei termini indizio
comunicazione e documentazione vengono scoperti nell’evolversi dello stesso.
Ora è comprensibile anche il titolo dell’iniziativa Indizi in diretta: si fa riferimento esplicito a indizi, tracce e dettagli attorno ai quali si può dispiegare il racconto di una storia educativo/didattica. Sulle tracce dell’esperienza ancora da documentare, sono poi raccolti in diretta suggerimenti e riflessioni del pubblico.


Raccontate come preparate l'evento.


Un' azione importante è svolta proprio in preparazione dell'evento. Gli operatori del Laboratorio individuano le documentazioni video fra la documentazione del Centro, da utilizzare come stimolo, e una scuola interessata a portare tracce di un'esperienza. Viene poi costituito un gruppo di lavoro con autori/curatori delle documentazioni e gli insegnanti protagonisti dell'esperienza con il compito di ricercare spunti ( indizi) didattici significativi all'interno dei materiali video proposti, accostandovi riflessioni personali, citazioni, suggestioni tratte da scrittori. È proprio a questo gruppo che spetta la preparazione del canovaccio che supporta e guida la performance!
L'evento ha poi anche una prosecuzione: viene proposta agli insegnanti dell’esperienza presentata solo con tracce, la possibilità di consulenze, in itinere, per la realizzazione della loro documentazione che viene stampata a cura del Centro di Documentazione e presentata, l’anno seguente, nell’iniziativa Indizi si strutturano

Quali sono i motivi ispiratori e le coordinate di fondo di questo lavoro?

La cornice dell’evento "Indizi in diretta" colloca il fare documentazione dentro precise coordinate. Ne elenchiamo alcune:
- l’importanza del dettaglio;
- il dare forma;
- il confronto tra diversi interlocutori come base del percorso di documentazione.


Il titolo stesso dell’evento ne evoca la forza. Il dettaglio può essere l'incipit di una storia, una particolarità che ne dipana l’evolversi. Pensiamo che la documentazione stessa, frutto di selezioni dal materiale grezzo raccolto in itinere, viva se individua questo dettaglio saliente, questo cuore, questo fuoco che illumina nella narrazione il percorso educativo. È l’importanza del dettaglio che rende chiara l’affermazione secondo cui la documentazione non può raccontare tutto di un progetto, che è una rappresentazione simbolica del reale: stiamo sostenendo che eleggiamo una porzione di percorso, una particolare riflessione, un aspetto peculiare per suggerire e lasciare intravvedere la totalità.
“Un tutto, insomma, rivive in una documentazione in grazia delle parti che il relatore seleziona come significative e pertinenti.”(1) (2)

La documentazione affonda la sua peculiarità nella riflessione educativa e pedagogica e si appoggia alla capacità informativa come capacità di veicolare messaggi. Per noi una documentazione deve raggiungere una forma argomentativamente compiuta: contenere testimonianze del lavoro didattico legate da riflessioni, racconto degli eventi; è la tessitura dei fili razionali ed emotivi che creano il prodotto finale e quella ricchezza e appeal che possano fare la differenza tra una documentazione burocratica e la voglia di dirsi degli autori /curatori, di suscitare curiosità, piacevolezza nel fruitore. Questo implica anche una scelta di supporti, di codici linguistici idonei a sostenerne l’impatto divulgativo, nel tentativo di veicolare l’essenza di un impegno educativo pedagogico, di attivare nuova conoscenza e proficui scambi. È molto importante che gli insegnanti curino il dialogo tra cosa raccontare e come raccontarlo. Scegliere la “forma della documentazione” non è tanto per sfruttare effetti comunicativi ma è atto di democrazia: per “abitare il proprio lavoro”, promuovere, tra educatori e insegnanti, la voglia di conoscenza delle prassi e render conto anche ai genitori di quello che si fa con i loro figli.
Il confronto tra diversi interlocutori base del percorso di documentazione
Ricordiamo che la documentazione necessita per il suo farsi di confronto: scambio tra le insegnanti che hanno predisposto il progetto e realizzato l’esperienza e ora ne vogliono mantenere memoria. Che opinioni ci siamo fatte dell’andamento del nostro lavoro? Abbiamo raccolto le impressioni dei bambini, i loro prodotti? Come sono state accolte le attività proposte? Quali elementi sono da sottolineare, quali aspetti di criticità sono emersi? Si mettono in comune le impressioni, si confrontano anche con altri interlocutori che hanno collaborato alla buona riuscita dell’esperienza. Si parla infatti, nel percorso del documentare, di progetto di documentazione gestito da un gruppo di insegnanti che si fa carico di individuare tempi, organizzazione, contenuti e stesura del prodotto. Potremmo dire: un gruppo in dialogo. L’evento di Indizi amplia questo elemento di condivisione. Anzi propone un “gruppo di ascolto” durante l’incontro che possa restituire impressioni attorno alle tracce che le insegnanti presentano. Nella consulenza prevista come supporto alla creazione della loro documentazione educativa, poi, le insegnanti sono sollecitate anche a considerare gli indizi raccolti in Indizi in diretta e, se desiderano, a sceglierne alcuni perché particolarmente vicini alla loro sensibilità e magari individuarli come apri-pista della loro documentazione.

Quali scopi si prefigge il Laboratorio di Documentazione dalla collaborazione con le scuole?

Scopo principale è sensibilizzare servizi e scuole verso l’impegno a documentare e supportare poi gli insegnanti a realizzare una propria documentazione fruibile. La documentazione assegna infatti consistenza storica e pedagogica alla professione d’insegnante, al lavoro educativo scolastico svolto e ne preserva il ricordo. Ogniqualvolta ci si trova ad affrontare il tema della documentazione appare necessario compiere una delimitazione di campo, chiarendo quale è il fuoco dell’esperienza che si vuole documentare. Attraverso la documentazione può riaffiorare il significato più profondo in cui il racconto di “cosa si è fatto” è strettamente legato al “chi lo ha fatto” e “perché”.

Cosa vi prefiggete come esito dell’iniziativa?

Ad ogni evento corrisponde l'uscita di una documentazione educativa curata dai rispettivi insegnanti . A tutt'oggi queste le documentazioni diffuse:
• Inventastorie. Narrazioni con immagini e parole. Dalla prima alla terza classe di scuola primaria, IC n.5 Bologna, Scuola primaria “A Grosso”. Documentazione a cura di Dora Mattia, maggio 2009.
• Vuoi differenziARTI? Percorso di riciclo artistico nella Scuola dell'infanzia, IC n. 11 Bologna, Scuola dell'Infanzia Statale “G. Garibaldi”. Documentazione a cura di Stefania Maiani, Sara Beccari, di prossima uscita.
L'iniziativa è tesa a orientare gli insegnanti a saper presentare le loro esperienze con “parole vive” e ancorate alle loro prassi .

Il 17 Aprile 2010 dalle 9.00 alle 13.00 presso la sede di Ri.E.Sco.-Laboratorio, via Ca' Selvatica 7 a Bologna, è stata presentata la documentazione intitolata: "Vuoi differenziARTI?" Percorso di riciclo artistico nella Scuola dell'infanzia. Informazioni e scheda di iscrizione scaricabili dalle news del sito www.comune.bologna.it/istruzione/laboratorio/index.php
Le schede di presentazione dei materiali sono consultabili on line all'indirizzo: http://labdocform.tecaweb.it/index.php


Note
1) F. Frasnedi, Esattezza e fascino, in C. Balsamo (a cura di), Dai fatti alle parole. Riflessioni a più voci sulla documentazione educativa, edizioni Junior, Bergamo, 1998, p. 101.
2) Per altri aspetti metodologici si rimanda a AA.VV., Tracce, percorsi, processi-Per una documentazione di qualità in “HP Hacca Parlante”, Erickson, Trento n. 4/2006 pp.7-53

sabato 20 marzo 2010

Insegnare all’Università.

Intervista a Maria Lucia Giovannini

Rivolgiamo a Maria Lucia Giovannini, ordinario di Pedagogia Sperimentale all’Università di Bologna, una serie di domande sull’ultimo libro da lei curato dal titolo: "Insegnare all’Università. Modelli di formazione in Europa. Learning to teach in Higher Education. Approaches and Case Studies in Europe" (CLUEB, Bologna, 2010).

Quali i motivi che l’hanno indotta a prendere in considerazione la tematica della formazione professionale all’insegnamento dei docenti universitari?

Non si può fare a meno di considerare il processo trasformativo che a partire dagli anni Sessanta ha coinvolto l’università non solo in Italia ma in tutti i Paesi e che a livello europeo ha portato un decennio fa alla costruzione di uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. Da allora il ruolo dell’istruzione superiore e i suoi rapporti con la società sono profondamente cambiati. È aumentato il numero degli studenti universitari, ma è via via sempre più mutata la loro composizione. Questo anche grazie alla crescente domanda di istruzione da parte di giovani di strati sociali precedentemente esclusi dall’istruzione superiore. Vi ha contribuito inoltre l’esigenza, nell’attuale società della conoscenza, del lifelong learning per cui è cresciuto il numero di adulti iscritti e, dunque, di lavoratori studenti. Infine, non si può sottovalutare la presenza di studenti provenienti da altri Paesi in relazione al crescente fenomeno dell’internazionalizzazione degli studi e dell’immigrazione. Pertanto le capacità di partenza degli studenti, per esempio, i loro stili di apprendimento, concezioni, aspettative e motivazioni sono assai diversificati. A fronte dell’aumento del numero degli studenti, inoltre, non si può sottovalutare l’elevato numero di insuccessi nel primo anno e nella durata più lunga del percorso effettivo universitario rispetto a quello ufficiale dei corsi e, neppure, le “lamentele” di docenti universitari stessi circa l’incongruenza tra la preparazione effettiva di molti studenti che si iscrivono all’università e i presupposti conoscitivi richiesti dal percorso universitario.
Privilegiando una prospettiva che intende coniugare il concetto di università di massa con quello di qualità, coerentemente con gli obiettivi democratici di sviluppo sociale, culturale ed economico di un Paese, diventa irrinunciabile che a un ingresso più allargato nel segmento universitario corrisponda una maggiore produttività in termini non solo di rapporto tra iscritti e laureati ma anche di raggiungimento effettivo, da parte coloro che si inseriscono nel percorso, delle abilità e delle competenze perseguite. È sicuramente una sfida non facile, ma a cui a mio avviso non si deve rinunciare se ci si pone in una prospettiva di equità. Un’utenza più disomogenea e con motivazioni diversificate pone al sistema delle esigenze più articolate e comporta delle risposte più adeguate tra le quali una didattica più coinvolgente ed efficace rispetto alla modalità didattica tradizionale prevalentemente unidirezionale.
Il Processo di Bologna ha, tra l’altro, inteso favorire una più ampia partecipazione all’istruzione superiore e ridurre il numero degli abbandoni e il periodo di permanenza all’università. L’ottica è prevalentemente quella di puntare sul capitale umano per lo sviluppo economico e per svolgere un ruolo chiave e competitivo a livello mondiale tenendo conto dei processi di globalizzazione di mercato e dello sviluppo continuo e rapido delle tecnologie informatiche e comunicative. L’obbligo di rendicontazione (accountability) delle scelte e della produttività e la certificazione della qualità sembrano riflettere molto spesso una logica esclusivamente di tipo economico per la rilevanza assunta dal sapere nella competizione economica tra i diversi Paesi. Tuttavia, la più ampia partecipazione all’istruzione superiore risponde anche alla richiesta di istruzione superiore a fini egualitari. Può essere indirizzata anche in tale direzione la necessità, indicata come priorità nei documenti europei, di produrre innovazione sulla base di un’integrazione tra didattica e ricerca e di migliorare i contesti di apprendimento degli studenti per garantire loro adeguate condizioni per il completamento degli studi. Non si può tuttavia pensare che tali cambiamenti si realizzino senza accompagnare tali “richieste” con mirate esperienze formative per gli accademici. Queste sono sollecitate anche dalla richiesta posta al corpo docente di saper costruire curricoli in relazione all’esigenza di una progettazione curricolare collegiale che espliciti gli apprendimenti attesi, come pure dai nuovi compiti connessi alla necessità del riconoscimento degli apprendimenti pregressi allo scopo di attuare con successo le politiche del lifelong learning relative all’istruzione superiore.
È indubbio infine che una sollecitazione nei confronti della realizzazione di percorsi volti a sostenere il miglioramento della competenza didattica dei docenti universitari è derivata anche dall’affermarsi delle Tecnologie informatiche e comunicative e dall’esigenza di conoscerne e saperne applicare le potenzialità che esse offrono da un punto di vista didattico. Si può ben capire che in tale contesto le competenze didattiche dei docenti devono essere non solo più approfondite e più articolate rispetto al passato ma acquisite in specifici itinerari formativi.
In relazione agli elementi di cambiamento delineati penso che la competenza didattica dei docenti universitari possa costituire uno degli elementi utili a coniugare il concetto di università di massa con quelli di qualità e di equità.


La formazione iniziale all’università dei docenti della scuola, sia primaria sia secondaria, ha contribuito a prendere consapevolezza della tematica di cui stiamo parlando?

Sicuramente. Alla necessità di superare un insegnamento prevalentemente di tipo unidirezionale ha contribuito anche il crescente ruolo affidato all’università in diversi Paesi nella realizzazione dei curricoli per la formazione iniziale degli insegnanti di scuola primaria e secondaria. In particolare ci si è posti il problema dell’impatto di modelli didattici tradizionali sui futuri insegnanti e si è analizzata la figura del docente universitario quale formatore dei formatori del sistema scolastico. Per esempio a metà degli anni Ottanta c’è stato un interessante seminario organizzato dall’UNESCO proprio sul rapporto tra insegnamento universitario e formazione dei futuri insegnanti di scuola. Ad esso ha partecipato anche Mario Gattullo (con il quale ho avuto la fortuna di lavorare per due decenni a livello di ricerca scientifica e di didattica), che si è tanto battuto per una formazione iniziale universitaria. Consapevole delle carenze della didattica universitaria, a proposito della formazione per insegnanti di scuole elementari e materne all’università egli affermava: “Come faranno i futuri maestri a praticare bene quel che i loro “maestri” praticarono male?” e per quelli delle secondarie poneva il seguente interrogativo: “La Scuola di specializzazione potrà formare gli insegnanti a collaborare tra loro solo se chi vi insegna avrà prima fatto altrettanto”. Il dito tuttavia non veniva da lui puntato soltanto sull’impreparazione didattica dei docenti universitari quanto soprattutto sull’indifferenza istituzionale verso i problemi dell’insegnamento, rintracciabile anche nel non considerarlo in generale un “oggetto” degno di ricerca e importante ai fini della carriera accademica.

Quali le modalità in base alle quali organizzare la formazione?

Pur rimanendo problematica la definizione di una formazione professionale specifica alla didattica universitaria ampiamente condivisa, essa è ormai da anni un’esigenza riconosciuta a più livelli. In molti Paesi sono stati i governi, nell’ambito di riforme ampie dell’istruzione superiore, o anche con decreti specifici, a dare indicazioni in questo ambito. Le applicazioni variano da Paese a Paese e da istituzione a istituzione. Un ruolo chiave è in genere svolto dagli Educational Development Units o Centres come centri di supporto o consulenza alle istituzioni e ai singoli docenti; anch’essi risultano organizzati in modo diversificato. Inoltre, tali strutture a sostegno del miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento e dello sviluppo professionale dei docenti non sono una prerogativa europea.
Da un mio punto di vista, tenendo conto delle esperienze realizzate in molti altri Paesi di vari continenti, va considerato il problema di un percorso di formazione iniziale riconosciuto e certificato per coloro che devono essere assunti o neoassunti. Tuttavia, accanto a tale esigenza, mi preme qui sottolineare l’aspetto del processo di sviluppo professionale per evidenziare che la formazione didattica è un processo continuo e che non può considerarsi completato una volta per tutte. Considerando i molteplici e sempre più complessi impegni richiesti ai docenti universitari essa deve essere mirata e compatibile con gli altri compiti. Pertanto la formazione alla didattica va interpretata in modo molto diverso rispetto agli insegnanti degli altri ordini di scuola, né si può pensare a progetti standard; ci sembra piuttosto maggiormente utile far riferimento a situazioni formative diversificate che sappiano rispondere a specifiche problematiche. C’è però un aspetto imprescindibile: se si è d’accordo sulla necessità della formazione occorre considerare che le scelte culturali sono sempre scelte politiche e non si può ignorare o sottovalutare l’importanza di risorse o non chiamare in gioco l’istituzione. Sicuramente dalle esperienze realizzate emerge che un effetto scoraggiante è la non valorizzazione della formazione.

Infine, qual è la ragione per cui il volume è sia in italiano sia in inglese?

La tematica dell’imparare a insegnare all’università è ancora per così dire magmatica. Come emerge nel volume e come mette in evidenza Luzzatto nella Postfazione in relazione all’analisi dei quattro contributi prodotti da docenti di quattro Paesi europei, da un punto di vista scientifico i diversi gruppi di studiosi che studiano la tematica e la praticano si stanno muovendo senza riferimenti sicuri e condivisi, sperimentando approcci autonomamente elaborati. Per questo ho pensato che, oltre all’italiano, potesse essere utile la lingua inglese.


Giuliana Santarelli