venerdì 30 dicembre 2011

Aspettando il 2012. Idee e considerazioni.

Giuliana Santarelli

Le pagine della rubrica “Essere insegnanti” su “Riforma” ci dicono che la scuola può essere raccontata per smontare la diceria dello sfascio, che può darsi un’immagine più dignitosa attraverso le parole dei suoi protagonisti, e allora il racconto di chi vi lavora serve a ritrovare un’epica dell’insegnamento. Noi insegnanti pensiamo che la scuola non possa rinunciare al suo compito di essere un’opportunità per tutti perché essa accoglie e valorizza intelligenze.
In questa rubrica molte maestre hanno scritto oppure hanno rilasciato un’intervista sulla loro attività didattica. Abbiamo raccontato insieme di documentazione, narrazione e lettura, tecniche della scuola attiva, progettazione, autonomia scolastica, sperimentazioni perché, come dice Stefania Maiani nel libro Vuoi differenziARTI? Percorso di riciclo artistico nella Scuola dell'infanzia, IC n. 11 Bologna, Scuola dell'Infanzia Statale “G. Garibaldi”, le maestre si interrogano, e le domande sono importanti. Nelle loro risposte compare, nonostante quel che si dice, la scuola dell’identità, dei percorsi, delle regole.
Abbiamo avuto per anni una situazione di confusione, dove le domande di tanti hanno creato solo caos, perché bisogna avere risposte per le domande, altrimenti esse fanno da cassa di risonanza alle incertezze. Anni di Gelmini, di silenzi, di disorientamento.
Sappiamo anche che c’è sempre qualcuno che approfitta della confusione per occupare un posto privilegiato allo scopo di lanciare idee e teorie prestate o presunte, mascherate da attualità e valori, e la confusione aumenta. Colpita dai tagli, stremata da continue riforme che le hanno tolto centralità e ruolo, la scuola è invece decisiva per il Paese. Copiamo dai paesi stranieri, perché? Rinnoviamo e miglioriamo invece modelli perduti e confrontiamoci anche con orgoglio. La scena attuale è scoraggiante, bisogna innanzitutto ricostruire un rapporto con le nuove generazioni. Oggi la scuola è più povera di persone e di risorse, mortificata com’è ha perso il prestigio di cui ha bisogno. E’ urgente salvare le esperienze pedagogiche di valore, stringere patti con le famiglie e i ragazzi, aprire ad azioni condivise. Serve lanciare una rinnovata alleanza fra i lavoratori della scuola, le famiglie, l’amministrazione, l’università, le organizzazioni sindacali, tutta quella parte di città che ha a cuore i servizi educativi e scolastici e che hanno contribuito a farne grande la storia. Per essere all’altezza di questa tradizione dobbiamo ripensare a come rispondere oggi alla domanda di educazione e di istruzione. Sarebbe importante una forte ispirazione pedagogica capace di garantire la valenza educativa e l’unitarietà degli interventi e di tenere insieme quanti nella nostra città si occupano in senso ampio di scuola. Senza dimenticare l’elogio degli insegnanti, perché la tecnologia non può sostituirli. Spesso sono messi sotto accusa, dal ministro, dai genitori, eppure non possono essere rimpiazzati da un computer, proprio perché sono umani e come tali possono condividere, con i ragazzi, anche il linguaggio del PC. Gli insegnanti che occupano più spazio nella memoria sono quelli che creano un’alta tensione per diventare indimenticabili, da I ricordi mi guardano, Iperborea, uscito il 18 novembre, scritto dal premio Nobel 2011 per la letteratura Tomas Tranströmer. Potrebbe essere un obiettivo, rendersi indimenticabili per gli allievi che incontriamo nel nostro lavoro. Sono state realizzate in città, in quest’autunno, due iniziative che hanno illuminato aspetti cruciali per l’educazione. La prima riguarda il Seminario Internazionale che si è tenuto il 14 settembre nell’Aula Absidale di Santa Lucia “Saperi che servono. La ricerca umanistica e sociale in un’età di riforme”. Patrocinato dall’Università di Bologna, vi hanno preso parte esponenti e rappresentanti della Facoltà di conservazione dei Beni Culturali, Lettere e Filosofia, Psicologia, Scienze della Formazione, Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori, Scuola Superiore di Studi Umanistici, Osservatorio della Magna Charta. Il comitato promotore era formato da ricercatori appartenenti a diverse facoltà. Durante i lavori si auspica una contaminazione fra sapere umanistico e tecnologico che porti a non seguire solo quello che è utile. Ėmile Zola fonda la figura dell’intellettuale moderno che parla di qualcosa di non utile. Un moderno pessimismo, arcaico e resistente, anima e sottende il discorso dei relatori nella mattinata, che sottolineano l’inclinazione relativistica della cultura quando non fa posto all’altro e mette al centro dell’attenzione un esasperato “noi” sempre più problematico, sotto la minaccia di una resa immediata e della messa in crisi di valori. Negli interventi dei relatori si auspica un’alleanza necessaria fra studiosi umanisti e scientifici, dove gli umanisti si propongano come mediatori fra le persone fisiche, la lingua, la società. Gli umanisti, formatori dei formatori, appartengono alla scholé, che ha fra i suoi compiti quello di formare al sapere critico di ciò che non serve e che riguarda tutti, a quel sapere umanistico preposto alle domande giuste. Aristotele chiama scholé, scuola, il periodo di vacatio che viene concesso all’infanzia e all’adolescenza degli uomini liberi prima dell’inizio della vita attiva, e durante gli anni in cui le giovani facoltà sono più ricettive. E’ allora che bisogna seminare quel che lieviterà per tutta la vita e che verrà raccolto in un futuro felice proprio della maturità. Spetta dunque alla scuola gettare le basi della maturità libera e civilizzata. Quando si separano i saperi che servono da quelli che non servono si segue una logica utilitaristica, si ubbidisce alla coazione dell’utilità. Le democrazie hanno bisogno di cultura umanistica, di humanitas al sevizio della democrazia, mentre è pericoloso privilegiare ricerche e percorsi formativi che trovano riscontro immediato. Dal Medioevo a oggi la definizione aristotelica della scuola non è mai stata smentita e la democrazia moderna ha voluto estendere a tutti i cittadini la possibilità di godere del privilegio ateniese della scholé. Oggi questa idea generosa non è più oggetto di un’adesione unanime ed entusiasta. A qualcuno la scholé aristotelica sembra un lusso inutile. La scuola utilitaria, al servizio del mercato, serve a procurare un lavoro, non a formare uno spirito libero e critico, a educare un gusto, a risvegliare doti. Altri farebbero volentieri a meno di qualsiasi scuola, sono i padroni di un mercato onnipresente che ha bambini e adolescenti come clienti ed è a portata di mano coi suoi prodotti. In questa nuova scuola si sostituiscono le facoltà mentali naturali con quelle artificiali. Quindi il problema della scuola è grande, urgente. Si tratta forse di umanisti contro utilitaristi come nei secoli andati, con altri nemici, sempre più potenti che prosperano fra di noi? Si invoca da più parti una paideia nuova e antica di cui oggi sentiamo tanto la mancanza. Non stanchiamoci di pensare a come ricostruire il rapporto scuola-università-istituzioni cittadine per una rinnovata circolazione delle idee e dei saperi, saperi che devono necessariamente incontrarsi, e occorre far capire ai giovani che il suolo che calpestano e la città che abitano è nata dall’incontro di queste forze.
Un’altra iniziativa da considerare: Il sistema scolastico regionale alla luce degli esiti dell’indagine PISA 2009. Bologna 7 novembre 2011, Convento San Domenico, Salone Bolognini, Piazza San Domenico 13. Cristina Balboni interviene al posto di Patrizio Bianchi, Assessore alla Scuola, Formazione Professionale, Università e ricerca, Lavoro, Regione Emilia-Romagna.
Il suo intervento fotografa la situazione della scuola nazionale, da cui sono tratti anche i dati di quella regionale. La nostra è una scuola inclusiva che si fa carico di molte problematiche, ma la scuola di questa regione, quando la confrontiamo con quella delle altre nazioni europee, non registra il successo, o meglio, lo registra solo parzialmente perché la situazione è variegata e la formazione dei professori sembra l’anello debole del nostro sistema educativo. Servono azioni di sistema e decisione politica ed educativa, afferma Balboni quando interpreta i dati, in una società che si interroga sul futuro delle nuove generazioni e che deve proporsi in grado di trovare una logica di integrazione di sistemi, perché la qualità degli apprendimenti riguarda tutto il contesto sociale. Balboni indica anche quali sono i compiti dell’Invalsi: misura la posizione relativa di un sistema rispetto agli altri e vale anche per le singole scuole. Invalsi è uno strumento diagnostico poco diffuso, questa è la seconda indagine, alla prima l’Emilia Romagna non ha partecipato, perché la scuola si pone come centro di resistenza. Molti sostengono che non si può valutare, che è una cultura del dato quella che risulta, che la quantità è meno significativa della qualità, che si fa uso di test standardizzati, che il criterio di efficienza non è sempre un pregio. Altri sostengono che siamo figli di una cultura idealista e che la rendicontazione del MPI è scarsa, che l’informazione quantitativa può essere valorizzata e intesa come bene pubblico. La scuola media superiore dell’Emilia Romagna registra un divario troppo ampio fra il liceo e la formazione professionale, divario che conferma l’ineluttabilità di percorsi di studi più bassi per i ceti meno abbienti.
In sede conclusiva si ribadisce: questi dati ci dicono che, per come si realizzano la nostra politica di inclusione e innovazione, ci sono motivi di soddisfazione, ma anche di riflessione. Serve una nuova professionalità degli insegnanti perché i punteggi PISA sono predittori e i dati vanno interpretati. Gli stati che usano meglio la valutazione quantitativa e che tengono all’istruzione si propongono come impegno che tutti gli studenti riescano.

Viviamo in una società dell’insufficienza sul piano economico, ecologico, etico, ha detto di recente il Preside della Facoltà di Agraria Segrè agli studenti per sollecitarli, non solo ad indignarsi, ma anche rimboccarsi le maniche. Viviamo in mondo dove i filosofi discutono e si contrappongono a proposito di intuizione realista e intuizione ermeneutica, confermando che questo mondo non può essere semplicemente compreso con un solo criterio, anzi.
Viviamo in una democrazia che incorpora doveri, diritti e tecnocrazia. Quali sono le domande giuste?
Apriremo un dialogo con alcuni dirigenti, consulteremo riviste, frequenteremo biblioteche.