lunedì 31 gennaio 2011

Le “coloriture” in un Liceo di Bologna: un’occasione per riflettere sull’autonomia scolastica

Intervista a Ivana Summa, di Giuliana Santarelli
Una premessa:
Se i corridoi dell’Università si riempiono di studenti per esami o al termine delle lezioni, quelli del liceo Minghetti, durante le coloriture, negli intervalli, assumono un aspetto sui generis dovuto al fatto che tutti escono dalle aule contemporaneamente, si incontrano e parlano insieme. Si tratta di diverse centinaia di ragazzi, alcuni poco più che bambini. E vanno su e giù per le scale, formano capannelli, lo sguardo avanti a loro senza guardare, sembrano dire tante cose importanti che altri non sanno. E’ così da sempre nei corridoi della scuola superiore, bisogna ritornare con la mente alla propria. E se sappiamo di che cosa parlano con l’amica o con gli amici gli studenti universitari, perché ci siamo già incontrati, non conosciamo le parole di un adolescente ad un compagno di scuola. Gli adolescenti parlano una lingua diversa, inventata in quel momento, una lingua a cui gli adulti non hanno accesso, che ancora nessuno conosce, perché lui, l’adolescente, in questo stadio, in questo corridoio, è il nuovo, è niente e tutto, è quello che non è ancora in circolazione nel mondo degli adulti. Intimoriscono quando sono tutti insieme. Dal momento che non si possono sgridare, punire, reprimere perché con la coloritura si devono solo interessare, sapendo che loro sono già interessati perché hanno scelto (sarò prima, seconda o terza scelta) ma sono anche obbligati ad essere lì, costringono l’adulto a pensarsi, a chiedersi chi sono e ad avere paura di loro, lo inducono a barricarsi per darsi delle sicurezze. E si finge di non vederli e di non temerli. Il professore sconfigge questa paura col potere sulla loro vita e li domina ed essi lo ricambiano con le loro armi. Sguardo cattivo, che non sa dove scatenarsi, se su di sé o sugli altri. L’altro/adulto guarda questa inqietudine mutante, fermo sotto i suoi principi. Una battaglia, una partita giocata nel rispetto dei ruoli. Sono preparati, consapevoli, seri, educati, e tanti, ma anche critici, scettici, diffidenti, cattivi. E fingono di non vedere mentre si passa fra di loro, chiedendo permesso: è perché sono educati, o anche loro hanno paura? L’adolescenza, tutti lo dicono, è una stagione della vita dove i tratti dell’incertezza, l’ansia per il futuro, l’irruzione delle istanze pulsionali, il bisogno di rassicurazione e insieme di libertà convivono per celebrare in una sola stagione tutte le possibili espressioni della vita. Come scrive Freud: “La scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo. Essa non deve assumere la prerogativa di inesorabilità propria della vita, non deve voler essere più che un gioco di vita”.



- Vorrei esordire dicendo che in questi ultimi anni la figura del preside è diventata sempre più staccata dalla didattica per diventare una figura amministrativa. Questa è stata una metamorfosi non voluta dal legislatore perché il profilo del dirigente scolastico, secondo l'art. 25 del decreto legislativo 165 del 2001, è così tratteggiato: il dirigente è colui che nella scuola valorizza le risorse umane e i processi innovativi ed è garante della libertà d’insegnamento, intesa soprattutto come ricerca, innovazione metodologico-didattica. Se poi penso anche agli ultimi concorsi per dirigenti scolastici, ad esempio, la parola innovazione nell’ultimo bando c’era ben sette volte, che sono moltissime.
Io sono tornata come dirigente nella scuola nel 2003 dopo dieci anni di assenza , perché ero comandata all’IRRSAE, dove mi ero occupata di formazione ed avevo partecipato a quel grande momento che è stato l'avvento dell’autonomia scolastica negli ultimi anni '90, con le sperimentazioni e i monitoraggi dei primi anni di sperimentazione. Sono rientrata a scuola perché avevo capito che l’istituto regionale di ricerca chiudeva ed ero interessata a capire come funzionava l’autonomia dal punto di vista del dirigente scolastico, come avevo scritto nei miei articoli, secondo la mia cultura preminentemente organizzativa. Non ho pensato a che cosa dovessi fare una volta a scuola perché l’avrei capito, quando mi sarei insediata nel mio nuovo ruolo: ogni scuola ha una sua storia, una sua politica, ha i suoi modi di fare edi essere, valori, principi e regole non scritte; insomma ogni scuola ha la sua cultura identitaria. Io mi son trovata al Minghetti, un liceo classico, scuola che non ho mai frequentato neanche da studentessa, e poi devo aggiungere che nella scuola superiore io ho fatto le supplenze all’inizio della mia carriera. Convinta del fatto che un dirigente scolastico deve essere un conoscitore di processi e non di prodotti, cioè processi organizzativi e gestionali, io sono andata molto tranquilla ma non sprovveduto perchè avevo progettato la mia mission. Infatti, alcuni anni dopo ho tenuto una relazione - a Lugano, nell'ambito di un seminario internazionale - sulla leadership dove ho raccontatola mia esperienza, di come avessi pianificato il la mia azione in quattro anni, che poi sono diventati sei. Avevo un progetto: capire come una scuola, con l’autonomia, possa fare ricerca per l’innovazione e lo sviluppo; anzi, preciso che io me ne ero andata dall’IRRSAE dicendo che avrei fatto ricerca a scuola, quindi avevo le idee molto chiare sulla ricerca che sorge dal basso, diciamo come ricerca/azione. E così,mano a mano che conoscevo la scuola e gli insegnanti, è nata una grande sintonia. Io mi ero accorta che questi professori sapevano vagamente dell’esistenza di una legge sull’autonomia, ma non avevano capito granché, che cosa significasse, perché nessuno mai aveva fatto per loro un’attività di aggiornamento. Negli anni precedenti in cui è stato preside Innocenti (Innocenti era una persona in gamba, uno di quei presidi di una volta che sapevano il fatto loro, anche sul piano pedagogico-didattico) erano state messe le premesse per l’innovazione, in particolare per l’innovazione che riguardava il curricolo. Devo fare una premessa: il Minghetti è un liceo classico che non aveva partecipato mai a nessuna sperimentazione, mentre il Galvani, l’altro liceo classico della città, vantava maxisperimentazioni con il linguistico, baccalaureat, indirizzi scientifici sempre basati sulle lingue. Insomma, tutta un'altra storia rispetto al Minghetti tanto che il Galvani oggi ha pochissime sezioni di liceo classico tradizionale; praticamente ha cambiato l’identità. Questo è successo anche al liceo Ariosto di Ferrara, perché il classico era entrato in crisi negli anni '70, e quindi i presidi avevano intrapreso la strada delle sperimentazioni autorizzate dal Ministero. Per me la storia dell’organizzazione è fantastica perché spiega tante cose: il Minghetti per moltissimi anni non aveva mai avuto un preside perché quello titolare, Tolmino Guerzoni, era comandato all’IRRSAE e veniva sostituito ogni anno con un docente incaricato. Dunque, la struttura ordinamentale della scuola era rimasta quella del passato con il vecchio schema orario e i vecchi programmi , perché nessuno l’ aveva mai guidata verso un'evoluzione di tipo sperimentale. Però per il Minghetti restare “classico classico” alla fine è diventata una "non scelta" vincente; diciamo che ha mantenuto la sua identità. C’è stato un periodo in cui tutti hanno cambiato fisionomia alle scuole. Ad esempio,a Ferrara le magistrali sperimentavano indirizzi scientifici, altri quelli umanistici; tutto questo sperimentare, secondo me, era bello, addirittura l’Ariosto di Ferrara fece la sperimentazione come scienze sociali, dando perfino l’abilitazione all’insegnamento nella scuola elementare. Il collega che mi aveva preceduto, il preside Giorgio Innocenti, lo aveva capito e dell’autonomia aveva compreso la questione della flessibilità del curricolo, cioè il fatto che una quota del monte ore delle discipline poteva essere utilizzata o per introdurre nuove discipline o per cumularsi con altre e realizzare delle attività formative non strettamente disciplinari. Io avevo fatto qualche anno prima una ricerca nelle seicento scuole circa della nostra regione, tutte, sia di base che superiori, che poi fu riportata in un libro sulla flessibilità del curricolo pubblicato dalla Direzione Regionale per l'Emilia-Romagna. In questo saggio io e il professor Giancarlo Sacchi - responsabile del progetto come IRRE/E-R - avevamo notato come le sperimentazioni andassero più forte prima dell’autonomia e non dopo; anzi dopo il 2000 le scuole si erano molto, come posso dire, ingarbugliate: le scuole avevano allargato il curricolo con attività pomeridiane ma non avevano fatto i conti col curricolo della stessa scuola, diciamo che, anziché lavorare sui mobili di casa, hanno lavorato sul giardino, hanno costruito una sorta di "déhors curriculare". Invece il preside Innocenti aveva lasciato in eredità alla scuola le cosiddette "coloriture" del ginnasio, deliberate dal collegio dei docenti senza grande consapevolezza sul piano logico-concettuale di cosa fossero queste coloriture.
Di fatto, quando sono arrivata nell'anno scolastico 2003/2004 al ginnasio si facevano le coloriture di tipo scientifico, musicale, artistico, ecc. Dunque, le coloriture ci sono già, ma solo al biennio ed erano incardinate nella sezione : i professori facevano un progettino, chi di dieci, chi di venti ore, spesso malvolentieri. Infatti, molti non ne volevano sapere, diciamo che durante l’anno facevano delle cose in più, però non erano attività aggiuntive, perché venivano realizzate in orario curriculare. Se, ad esempio, la coloritura era musicale, e si realizzava un'attività di musica del novecento, a volte si chiamavano anche esperti esterni, però era tutto molto estemporaneo perché non c'era un gruppo di ricerca che curasse l'attività dalla sua progettazione alla sua valutazione.
L’autonomia è così, quando metti il progetto nel POF è già approvato. Ai genitori, al momento delle iscrizioni, si diceva che era la coloritura di musica e avevamo spiegato, per la verità anche con molto imbarazzo perché non era chiaro neanche alla scuola, che avrebbero fatto qualche attività di musica, oppure di arte se la coloritura era di arte, oppure di matematica se era una coloritura scientifica. La parola "coloritura" non ha precedenti di natura didattica. Diciamo che è stata inventata prima che io arrivassi al Minghetti: coloritura voleva dire il (grigio?) curricolo del liceo classico, colorato con una spruzzatina di qualche cosa di nuovo.
Le coloriture sono state avviate nel 2001-2002, poi hanno continuato nell'anno successivo nel 2002-2003 (ero già titolare io ma c’era un preside incaricato), e nel 2003/2004 durante il quale ho cercato di capire, insieme alla scuola, che cosa veramente fossero e, soprattutto, che cosa potessero diventare. Nell'a.s. 2004-2005 ho istituito un gruppo di ricerca sulla flessibilità del curricolo e, in particolare, sulle coloriture perché dovevamo scrivere il dèpliant della scuola per le iscrizioni dell'anno successivo: era necessario capire cosa fossero e come spiegarlo ai genitori. Infatti, nell'"open day" dell'anno precedente, mi ero accorta che i genitori stentavano a comprendere cosa fossero le coloriture, tanto che la scuola stessa orientava alla scelta del liceo classico, sottolineando la forza del curricolo tradizionale. Insomma la scelta delle coloriture veniva messa in secondo ordine dalla scuola stessa.
Però ci dispiaceva farle morire perché noi stavamo riflettendo seriamente sul curricolo del liceo classico, perchè erano gli anni della riforma Moratti. Io avevo realizzato dei collegi informali, accanto ai collegi formali in cui si deliberava, indicevo delle riunioni di libero pensiero, si discuteva a volte sul curricolo, a volte sulla valutazione, a volte sul lavoro di gruppo. Ha avuto molto successo questa collegialità diffusa, tanto che è nata l'idea di strutturare definitivamente le coloriture nelle sezioni del liceo aumentando il numero e la tipologia fino ad estendere le coloriture al triennio liceale. Io ne ho parlato con gli studenti (parlare con gli studenti vuol dire molto nella scuola superiore) perché alcuni di loro, passati al triennio liceale, mi chiedevano perché non si facessero più le coloriture e, dunque, avevo chiesto loro di fare al collegio dei docenti delle proposte più mirate. E così, nel frattempo, abbiamo arricchito le coloriture: alle cinque esistenti se ne sono aggiunte altre cinque perché da cinque sezioni la scuola era passata: si è aggiunta una coloritura di economia, una di comunicazione, un'altra tecnologica, giuridica, di intercultura.
E' proprio in questa fase che la scuola ha capito cosa erano diventate le coloriture: le coloriture sono attività laboratoriali e di ricerca che la scuola realizza utilizzando le discipline curriculari; dunque, non sono altre discipline, altre attività, ma luoghi della conoscenza ai confini ed alle intersezioni delle discipline. Insomma, le coloriture sono quelli che Frabboni chiamerebbe i saperi caldi. Ad esempio, il laboratorio di intercultura veniva realizzato utilizzando i classici, per scoprire come la letteratura greca e latina ci ha tramandato il concetto di straniero che poi si è trasformato in uno stereotipo che ancora sopravvive sia pure con valenze negative.
L'introduzione delle coloriture al liceo è stata davvero un'avventura culturale e professionale che penso ha lasciato tracce significative in chi l'ha vissuto in prima persona. Io mi ricordo ancora il luogo dove facevamo le riunioni e quando qualche professore ha detto ”ma no! Non possiamo fare al liceo la stessa cosa che facciamo al ginnasio; no, al liceo bisogna pensare qualcosa di diverso, perché poi il triennio è orientativo” . Ecco l'orientamento è sta la parola magica che ci ha fatto scoprire le potenzialità formative delle coloriture. Dunque, partendo dalle richieste dei ragazzi che volevano continuare a colorare il loro percorso di studio anche nel triennio, la scuola c ha elaborato un progetto che, in partenza, non aveva mai immaginato, chiusi come siamo dentro le nostre "gabbie cognitive". Mentre che il gruppo di ricerca sulle coloriture procedeva, gli studenti hanno chiesto di fare le coloriture non più per sezione come avveniva nel ginnasio ma, incrociando le sezioni. Così abbiamo mischiato i ragazzi per intersezione, non solo in orizzontale ma anche in verticale; quindi alle coloriture partecipava sia il ragazzino di quindici-sedici anni della prima liceo che quello di diciotto-diciannove anni ormai alle soglie dell'università. Questa modalità di strutturare le sezioni è risultata vincente sia sul piano relazionale che sul piano didattico. Anzi, è proprio quest'ultimo piano che è risultato particolarmente significativo, perché, dopo l'esperienza del primo anno, si è affinato l’approccio laboratoriale, in quanto si è reso necessario sul piano operativo. Ad esempio, se la coloritura storica fosse stata realizzata soltanto con gli studenti dell’ultimo anno soltanto, avrebbe imboccato la strada del programma piuttosto che quello della ricerca. Mi ricordo che gli insegnanti erano un po’ restii a formare intersezioni con diverse fasce d'età ("non siamo all'asilo!", qualcuno ebbe ad affermare; “ma come si fa… se tutti gli studenti non hanno fatto il programma,…” .
Oggi posso affermare che non so a cosa siano servite le coloriture per la formazione e l'orientamento degli studenti; di sicuro sono servite ai docenti perché io ho visto lavorare insieme persone che non avrei mai creduto potessero farlo. Il primo anno è stato davvero un’avventura, nel senso che i professori volevano tutte le informazioni, volevano capire tutto prima; cosa impossibile perché queste sono attività di ricerca e la ricerca la si capisce davvero mentre si fa.
La preoccupazione dei docenti era anche di natura organizzativa ovvero di come predisporre un piano di attuazione a partire dal progetto e la mia, invece, soprattutto di tipo gestiionale. Anzitutto c’era uno sconvolgimento sul piano organizzativo: un professore di matematica e fisica che ha più classi al biennio e al triennio, nella settimana dedicata alle coloriture del liceo, era impegnato e, dunque, doveva essere sostituito nelle classi ginnasiali. E poi era necessario distinguere fra i professori che realizzavano proprio loro il progetto da quelli che lo co-progettavano ma dovevano interagire con l’esperto esterno, come per esempio avveniva con la coloritura di musica. C’erano poi i docenti che semplicemente erano nelle sezioni come vigilanza degli alunni che lavoravano con specialisti esterni, e poi quelli che facevano supplenza ai colleghi del ginnasio impegnati nelle coloriture liceali.
Fin dalla prima volta, e’ andato tutto benissimo anche per merito delle due bidelle della portineria cui è toccato di accogliere ed orientare nei luoghi giusti, studenti, insegnanti ed esterni.
Tutta la sperimentazione è stata complessa fin dalla formazione delle sezioni perché i ragazzi volevano scegliere liberamente le coloriture da frequentare, ma se tutti avessero fatto la stessa scelta (ad esempio la coloritura cinema) poi sarebbero saltate le altre già progettate anche sul piano finanziario. Così è stato necessario prevedere, oltre ad una prima, una seconda ed una terza scelta, scontentando tutti. Per non parlare della strumentazione tecnologica richiesta dai docenti ed incompatibile con la disponibilità della scuola.
All'epoca, io avevo la reggenza del liceo scientifico Righi e in più frequentavo l'istituto professionale Fioravanti perché ero tutor d'aula nella formazione dei nuovi dirigenti scolastici, e allora presi due, tre proiettori di là, due-tre proiettori di qua e riuscimmo ad avere in uso tutto quanto era stato richiesto al direttore amministrativo che faceva fatica a capire perché la scuola si era cacciata in questa faticosa baraonda.
Abbiamo speso venti-trenta mila euro per pagare i professori che facevano delle ore in più, erano quattro-cinque ore al giorno, e poi tutti gli esterni, ma la scuola aveva la disponibilità finanziaria di centomila/centoventimila euro, provenienti dai contributi volontari degli studenti versati annualmente all'atto della iscrizione annuale.
Come previsto dalla normativa sull'autonomia scolastica, avevo predisposto, nel programma annuale che accompagna il POF di anno in anno, una scheda-progetto sull’innovazione "coloriture". Nella prima annualità, moltissimi docenti avevano previsto pensavano che i ragazzi non sarebbero venuti a scuola durante la settimana delle coloriture, anche se avevamo mandato la circolare a casa spiegando alle famiglie l’obbligo di frequenza anche per queste attività. Invece, non c’è stata nessuna defezione degli studenti perché avevano ben compreso - avendo partecipato alla sua messa a punto - che era una settimana di sospensione della normale attività didattica ma non della didattica. E’ stato difficile da gestire, venivano gli esperti, volevano informazioni, magari erano trenta sezioni, perché non si potevano fare gruppi di trenta studenti, le coloriture dovevano avere un numero di partecipanti basso come richiesto dall'approccio laboratoriale. E poi abbiamo distribuito un questionario ai ragazzi e ai professori, abbiamo valutato e capito che cosa andava bene e cosa non e abbiamo preso delle decisioni: ad esempio, chiamare meno esperti esterni, utilizzare le risorse che sono nel territorio, come il Museo del patrimonio industriale, per spendere meno ma anche per valorizzare le risorse già esistenti.
Ci siamo collegati con delle strutture esterne, che addirittura potevano avere interesse a partecipare alle coloriture. Un esempio per tutti: abbiamo realizzato una coloritura - quella economica - al Museo del patrimonio industriale guidato da Giovanni Sedioli che per una settimana ha affiancato i nostri liceali in un percorso affascinante in un bosco a loro sconosciuto come la realtà industriale del territorio bolognese.
Negli anni successivi, la coloritura - sottoposta annualmente a monitoraggi e a valutazione - si è evoluta fino a strutturarla dentro il sistema dei crediti formativi, con un punteggio che poteva oscillare da 0,25 a 0,75.
Quello che ci ha appassionato e rendeva tutto entusiasmante è che ognuno di noi ha utilizzato le proprie amicizie, le proprie passioni: ad esempio, la coloritura giuridica l'ho voluta io e così abbiamo utilizzato un docente di lettere del Minghetti che era anche avvocato (il professor Nanni, oggi dirigente scolastico), l'on Giancarla Codrignani già docente del Minghetti ed esperta di Costituzione, la dott.ssa Anna Armone esperta di Pubblica Amministrazione, che ha realizzato un laboratorio sulla trasparenza.
Una coloritura bellissima fu realizzata dal professor Morroi, docente di matematica e fisica del Minghetti, che ha chiamato un docente universitario di Bari proponendo la risoluzione di un giallo attraverso formule matematiche. Fu girato un film e addirittura, per la soluzione del giallo, abbiamo dovuto fare il richiamo dopo due-tre mesi. La cosa, anno dopo anno, da circoscritta, stava diventando sempre più grande ed avvincente per tutti, anche se faticosa sul piano realizzativo.
Ora non conosco da vicino come sta proseguendo l'attività, ma le coloriture sono entrate nella cultura didattica ed organizzativa della scuola e sono diventate strutture stabili del curricolo liceale anche dopo il riordino del Ministro Gelmini.
Quello che vorrei che si capisse è che l’autonomia della scuola, senza la ricerca, sperimentazione e sviluppo non è autonomia. Forse bisognerebbe costringere le scuole a progettare un pezzo del curricolo ed essere valutate per questo. Insomma, accanto ai curricoli obbligatori ministeriali, dovrebbe esserci un pezzo di curricolo della scuola, ma che non fosse di tipo aggiuntivo e sommatorio, ma focalizzato sulla contaminazione dei saperi caldi con i saperi freddi.
Non possiamo tenere a scuola questi ragazzi con spiegazioni e interrogazioni; serve il lavoro sulle competenze, perché con le competenze si può uscire dal recinto prettamente nozionistico e capire che le conoscenze di greco e di latino sono utili per capire la realtà di oggi. La scuola ha la sua conoscenza da trasmettere che nel liceo classico è fortemente simbolica ed è giusto che sia così, però la scuola deve anche far capire che, se si rompono gli argini formali delle discipline, se si infrangono i confini e li trasformiamo in frontiere, allora il sapere della scuola diventa affascinante.