venerdì 15 aprile 2011

Un pensiero perduto?

La didattica della ricerca non ha più, oggi,
quell’aspetto attivistico del passato, quanto quello
del problem solving, della “didattica dell’errore”,
del costruttivismo cognitivo…

Franco Cambi, Saperi e competenze

Dai trenta punti di Calais, alle esperienze di oggi.

Alla fine degli anni venti il movimento delle scuole attive fa un salto di qualità e passa dalla frammentazione conseguente alle numerose iniziative a una pratica nell’educazione attiva con metodi e tecniche generalizzabili. Nel 1921, nel corso della riunione annuale della Ligue de l’éducation nouvelle, a Calais, viene stabilito l’elenco di 29 punti (diventeranno 30 nel 1925) che caratterizzano il movimento e vincolano i suoi aderenti. La definizione Education nouvelle era stata usata, fino allora, con totale libertà. In questa occasione si stabilisce che una esperienza che voglia definirsi come appartenente all’Educazione nuova deve realizzare almeno quindici dei 30 punti individuati. I trenta punti di Calais iniziano col delineare l’organizzazione di una scuola e arrivano a formulare un progetto di educazione alla cittadinanza. Si riporta dai documenti:
Dieci principi riguardano l’organizzazione generale:
- l’Educazione nuova è un laboratorio di pedagogia pratica che si propone di servire di suggerimento alle scuole ufficiali;
- l’Educazione nuova è un internato in atmosfera quanto più è possibile familiare;
- l’Educazione nuova è stabilita in campagna;
- l’Educazione nuova raggruppa gli alunni in padiglioni;
- l’Educazione nuova pratica la coeducazione dei sessi;
- l’Educazione nuova deve comprendere almeno un’ora e mezza al giorno di lavoro manuale;
- la falegnameria occupa il primo posto fra i lavori manuali. Il giardinaggio e l’allevamento sono pure consigliati;
- devono essere possibili lavori liberi;
- l’educazione fisica è realizzata mediante la ginnastica naturale, i giochi, gli sport;
- campeggi ed escursioni.
Dieci principi riguardano l’educazione intellettuale:
- specializzazione spontanea accanto a cultura generale;
- sviluppare il giudizio piuttosto che la memoria;
- l’insegnamento si basa sui fatti e sulle esperienze;
- in conseguenza l’educazione nuova si appoggia sull’attività personale del fanciullo;
- l’insegnamento è fondato sull’interesse spontaneo degli alunni;
- il lavoro individuale consiste in ricerche sia attraverso fatti, sia fra libri, periodici, etc., e, in seguito, attraverso classificazioni secondo un ordine logico;
- il lavoro collettivo consiste nell’elaborazione comune di documenti particolari;
- l’insegnamento propriamente detto è limitato alla mattina;
- l’insegnamento non tratta più di una o due materie al giorno: la varietà deve sorgere dal modo di presentarle;
- l’insegnamento tratta poche materie per ciascun mese o trimestre.
Dieci principi riguardano l’educazione morale:
- l’educazione morale si realizza dall’interno e all’esterno, e cioè per mezzo della pratica, graduale del senso critico e della libertà;
- per l’organizzazione amministrativa e disciplinare si applica il sistema rappresentativo democratico;
- premi e sanzioni positive non si hanno se non come mezzo per promuovere l’iniziativa;
- premi e sanzioni educative consistono nel mettere l’alunno in condizione di raggiungere meglio il fine considerato come buono;
- autoemulazione;
- l’educazione nuova deve presentare un’atmosfera estetica ed accogliente;
- musica collettiva, canto corale, orchestra;
- l’educazione della coscienza consiste, per i fanciulli, soprattutto in racconti morali;
- la maggior parte delle scuole nuove osserva un’attitudine religiosa senza settarismi e pratica la neutralità confessionale;
- l’educazione nuova prepara il futuro cittadino non solo in vista della nazione, ma anche in vista dell’umanità.

Questi trenta punti hanno perso di attualità perché l’avvento delle nuove tecnologie, i cambiamenti dei rapporti economici e istituzionali, le riforme che si sono succedute negli anni e che hanno riguardato la scuola, fan sì che questa didattica sia da attualizzare. I cambiamenti che negli anni si sono succeduti non possono, tuttavia, cancellare le figure pedagogiche che ne hanno sottolineato e affermato il valore, mantenendo, per quel che ci riguarda, i punti fermi e ancorandola, come dice Cambi, alla ricerca, al costruttivismo, al pensiero problematizzante, alla motivazione, alle mappe concettuali.


Incontro Giuliano Vaccari nella scuola Giovanni XXIII, dove lavora.
“Questi (riferito allo schermo della LIM) sono i materiali su cui sono cresciuto, quelli del CEMEA. I CEMEA francesi, che sono ancora quelli tradizionali, sono anche oggi membri dei consuntivi dell’UNESCO, in Italia ci sono state tante litigate: il CEMEA di Firenze è morto per disaccordi fra i suoi componenti, ma i CEMEA internazionali lavorano anche oggi su queste cose. Queste indicazioni sono poi delle cose normalissime che non andrebbero nemmeno pubblicate, perché c’è un problema: noi le chiamiamo attività, ma nella scuola attiva parli sempre di esperienza, cioè si vive prima l’esperienza e in prima persona, perché qualcuno conduce un altro attraverso quell’esperienza con l’autorevolezza della sua esperienza, è possibile vivere su di sé le esperienze e attraverso quelle si impara. Così, dentro alle esperienze ci sono tutte le sequenze delle attività. I documenti della scuola sono le basi, certamente abbiamo anche i curricoli, intesi come scansioni degli apprendimenti, a livello di istituto. Io mi inserisco nei curricoli con questi metodi di lavoro, con questa impostazione, dico metodi perché non è uno solo, nell’epoca moderna sono molto mescolati: se una volta nell’educazione attiva si dava una grande importanza alla manualità, oggi la manualità fa i conti con tante altre cose, come la tastiera del computer e il mondo virtuale, però la manualità non è scomparsa, mentre generalmente nella scuola scompare perché è stata sostituita dalle fotocopie. Il vero problema non è la ministra Gelmini, che è un problema sì con lo scollamento della cultura, ma dentro a questo problema noi stiamo scontando la vecchia guardia del tempo pieno. Si tratta di un gravissimo errore, ci siamo fossilizzati su un modello che dopo trent’ anni, forse, non è più adeguato, intendo il tempo pieno classico, storico, di quaranta ore settimanali, due insegnanti, ci siamo anche un po’ consolidati. Di una cosa sono sicuro: meno di trenta ore settimanali con i bambini non portano a nessuna parte. Il vero problema è cosa c’è dentro alla scuola. Si lavora sulla fotocopia non sulla fatica di fare una cosa insieme sul quaderno. La fatica di costruire insieme al gruppo, agli altri, con una comunità, la conquista attraverso l’esperienza, questi sono i principi dell’educazione attiva, la conquista attraverso l’esperienza insieme agli altri. Allora è chiaro che la fotocopia in alcuni punti serve, ma abbiamo internet, che è una fonte straordinaria, quando apri trovi tutte le fotografie e i documenti, costruisci dei Power Point, con sequenze di fotografie. Una volta c’era un limite nell’educazione attiva storica, si riusciva a vedere poco, oggi invece, che avresti anche le documentazioni, sono scomparse le mani per costruire. Queste cose sono state dette in una maniera assolutamente perfetta e straordinaria dal consulente in educazione di Barak Obama, che la regione Emilia Romagna ha chiamato l’anno scorso a Bologna per la relazione introduttiva del nuovo anno scolastico.1 Se andiamo col pensiero agli apprendimenti, scrivere, muoversi sul foglio, impaginare hanno un’importanza fondamentale nella formazione della testa. I recenti studi di neurobiologia ci dicono che il cervello dei bambini di oggi ha delle modalità più complesse di apprendimento perché essi sono bombardati di informazioni, l’apprendimento avviene con delle sequenze diverse rispetto a quello di un tempo, più ordinato e povero, invece oggi la mondialità, il fatto che questi siano i cittadini del futuro, induce inevitabilmente a mettere insieme una serie di strumenti e di visioni del mondo contemporaneamente. Non si può fare scuola senza avere i planisferi, senza usare il mappamondo, dal primo giorno della prima elementare, perché noi siamo nel mondo. Ad esempio la geografia, che adesso viene così bistrattata, sollecita la lettura della carta geografica, il muoversi sulla carta, e poi è anche bello, i bambini hanno una passione per il viaggio, per le diversità del mondo, è una cosa meravigliosa. Questo è un aspetto molto diverso dell’infanzia, che è veramente cambiata.
I bambini devono conoscere, per sapere la storia dell’umanità, i processi: il barattolo del latte che si trova nella scansia del supermercato ha una storia, e ogni prodotto ci permette di attraversare le epoche storiche, e con questa ottica, che poi è economica, i bambini diventano curiosissimi, domandano e il pensiero si forma in un modo che induce a lavorare per mappe concettuali che non parlano solo di storia, ma subiscono l’invasione della parte geografica di cui si ha bisogno per comprendere la storia di quel popolo, è una mappa che non è mai ferma. La cosa importante è che insieme alle domande i bambini fanno già dei ragionamenti, fanno dei collegamenti, perché se fossero solo domande ci si potrebbe vedere una passività del pensiero. Con questa modalità occorre molto tempo, bisogna stare attenti e calmi e lasciarli parlare. Con le mappe concettuali bisogna creare delle connessioni serie, con questo gruppo abbiamo cominciato quando erano in seconda, le intuizioni vanno sistematizzate all’interno della mappa, la mappa è anche uno strumento grafico. Nei quaderni c’è tutto. I nostri erano ragionamenti lineari, oggi invece le idee sono multiple e devono trovare le loro connessioni, bisogna saper mettere insieme per comprendere. La mappa aiuta i bambini ad avere sempre presenti se stessi e il loro possibile percorso.
Io faccio rappresentare moltissimo col disegno, ma rappresentazioni accuratamente scelte.Mentre io disegno alla lavagna loro disegnano sul quaderno. L’altra cosa che si dà per scontata e che loro fanno da soli, invece io sono alla lavagna, costruisco insieme a loro, gli racconto anche il progetto qual è, e poi cominciamo a costruirlo insieme, io ce l’ho mentalmente predisposto, in genere cambia totalmente durante il lavoro perché entrano le loro sollecitazioni. Lavoro soprattutto sulla biodiversità, il valore della biodiversità, perché più è alto il tasso di diversità più favorevoli saranno le condizioni di vita. Con la storia della quantità delle spighe di grano che si producevano nelle diverse epoche storiche abbiamo fatto un aerogramma nel quaderno di matematica. I bambini capiscono come le cose si intrecciano, purché non si intreccino confusamente. Poi ci sono le attività di routine: all’interno di questo tipo di lavoro bisogna imparare a leggere e a scrivere meglio degli altri perché se si sa leggere e scrivere e far di conto bene si può lavorare così, altrimenti non è possibile, la strumentalità è finalizzata a questo lavoro, costruiscono tabelle fin dalla prima elementare. In lingua c’è un lavoro raffinatissimo, sistematico e poi noi facciamo molto consolidamento continuo.
Dalla relazione di tirocinio di Maria Castegnaro
Ho svolto il tirocinio del II modulo presso la scuola primaria Giovanni XXIII, CD 1, al quartiere Barca. Questo cambiamento di percorso è stato dettato in parte da mie necessità personali che hanno incontrato la proposta interessante di partecipare alla documentazione delle attività e della mostra preparata per ricordare il “quarantennale” della scuola.
L'ideatore, colui che ha fortemente voluto questo evento e che lo ha coordinato, è il maestro Giuliano Vaccari. Io ho partecipato alle lezioni tenute da Giuliano e alle visite guidate per le scolaresche che venivano a visitare la mostra. La realtà del quartiere Barca è stata ed è tutt'ora molto complessa. Centro di immigrazione storico, negli anno '50 era l'immigrazione dal meridione, oggi è l'immigrazione extracomunitaria. Le sfide non sono mai finite per le agenzie educative del territorio. Il quarantennale è stato l'occasione per ripercorrere la storia della scuola, la storia delle sfide che ha affrontato. È l'occasione per riflettere più in generale sulle problematiche che ogni scuola affronta e su come sia prezioso serbarne memoria…
…Omaima qualche giorno dopo, durante il laboratorio di disegno, ci teneva molto a definirsi “ambrata”, “io sono ambrata, l'ha detto mia mamma!” anch'io, e anch'io rispondono prontamente Diana, Doha, Valentina e Siwar! Ancora mi colpiscono i nomi: Tamèr, Omar, Hamza, Ossama, Doha, Siwar, Blessing, Omaima, Valentina, Gabriela, Diana, Moamet, Sara, Gabriele, Lorenzo (bimbo cinese), Lorenzo bimbo italiano, Alessandro, Nicolò, Lorena... mi sfuggono i nomi degli altri bimbi. È evidente che mi colpiscono i nomi stranieri, perchè sono nuovi per me, e perchè sono tanti! Ho saputo che alle Giovanni XXIII l'utenza è per il 60% di origine straniera. Quante problematiche! Quante sfide![...]
È stato un forte impatto quello avuto con la classe seconda e con il maestro Giuliano. Ero curiosa di imparare cose nuove, una maniera innovativa di insegnare... invece ho imparato cose vecchie! Cioè una maniera di fare lezione e di guardare ai bambini che era innovativa quaranta anni fa e che paradossalmente è innovativa anche oggi. Ho affrontato questo tirocinio cercando di trovare un legame o il legame fra il passato e il presente, per quanto riguarda la realtà di quell'istituto. Ho trovato il bambino al centro della didattica, l'attenzione ai tempi individuali, la ricerca di esperienze vicine alla realtà quotidiana
Diario del tirocinio Maria Castegnaro: 16 aprile 2009, lezione di scienze
Per chiarire cosa intendo vado a raccontare semplicemente quello a cui ho assistito, una semplice lezione di scienze che ripercorre quanto fatto durante l'anno. Bisogna sapere che il maestro ha piantato insieme ai bambini un piccolo orto. In un grande vaso fuori dall'aula, nel cortile, hanno piantato semi di fagioli, carote e insalata. Durante l'anno scolastico hanno monitorato quanto avveniva. Hanno visto come crescevano i semi dei fagioli quando erano nel cotone. Una parte poi è stata messa nella terra e hanno visto come si sono sviluppate diversamente le piante che stavano nella terra rispetto a quelle che stavano in vaso. Ho sentito bimbi di 7 anni parlare di “cotiledoni” sapendo esattamente a cosa si riferivano. Era molto chiaro per loro come una pianta nasce dal seme, si sviluppa mettendo su le foglie, i fiori, come questi vengono impollinati e facciano poi i frutti. Sono ben chiare le relazioni fra le piante e il sole, le piante e l'acqua, l'importanza degli insetti e della “biodiversità”. Tutti questi discorsi importantissimi e non facili vengono fatti guardando e toccando dal vero. Mentre il maestro ripercorre il percorso dei semi di fagiolo disegna i passaggi alla lavagna e tutti copiano sul quaderno di scienze che è bellissimo, pieno di disegni che raccontano esperienze vissute direttamente.
Sempre sfruttando il mini orto un giorno abbiamo visto dei parassiti, i “minatori delle foglie”; abbiamo potuto osservare che le piante cresciute nella terra erano più sane di quelle cresciute nel cotone che invece erano letteralmente assalite dai parassiti, erano più piccole e più pallide. Queste cose studiate dal vero, toccate, annusate sono ben comprensibili e saranno poi la base per approfondimenti negli anni successivi.
Lezione di matemtica
Durante le lezioni di Giuliano per risolvere un problema di “seconda elementare” si impiegano anche due ore. Nessuno viene lasciato indietro, tutti devono capire, ogni passaggio è esplicitato e mai ovvio. Mentre si risolve il problema di Lea che deve comprare dei carciofi al mercato si impara a ragionare. [...]Una domanda e una operazione. Anche un'equivalenza è un'operazione. Due domande due operazioni.
Dal diario di tirocinio del 27 aprile 2009
Problema di matematica, Giuliano detta il problema un po’ alla volta. Durante la dettatura approfitta per ripassare anche grammatica e ortografia. Quando smette di dettare bisogna cominciare a ragionare per capire come si può procedere con il problema. Sono i bambini a ragionare e a trovare la domanda giusta da porre. Insieme si decide quale operazione si deve svolgere, si scrive e si risolve insieme. Il maestro continua a dettare un’altra parte del problema, si ferma per trovare un’altra domanda.
I problemi di matematica ruotano intorno ad alcuni personaggi introdotti fin dalla classe prima e affrontano ogni volta problemi che sono legati alla vita quotidiana. Ad esempio, la signora Gina deve comperare una lavatrice, deve scegliere qual è la più economica, andare a pagare alla cassa e controllare di avere ricevuto il resto giusto. Per risolvere tutti insieme un problema come questo ci si impiegano anche due ore, in pratica dall’ingresso a scuola fino alla ricreazione
Maggio 2010, relazione di tirocinio di Antonella Talarico
Interessante è stato seguire le lezioni di matematica del maestro Giuliano. Lezioni interattive, ricche di interesse e di partecipazione. Nei quaderni e nelle lezioni compaiono diversi personaggi inventati dai bambini per spiegare le varie situazioni di aritmetica: Ugo, Ada, Gino. I problemi non sono più statici, con le solite strutture formali, lo stesso soggetto, ma sono strutturati in forma di storia e di giochi, in modo tale che l’attenzione sia sempre viva e presente. Nelle spiegazioni del maestro non si parla solo di numeri e di calcoli, ma il maestro richiama e si collega alle varie discipline, anche a situazioni della vita reale. Ad esempio, in una lezione ha spiegato, partendo sempre da un problema, come riuscire a preparare la passata di pomodoro. Il maestro utilizza un lavoro molto originale, presenta ai bambini anche problemi senza parole, formati solo da figure a cui dà un valore numerico. Tutti lavorano insieme nel cercare una soluzione: si tratta di esercizi di logica, gli alunni sono abituati a trovarsi di fronte a quesiti di questo tipo, infatti non hanno difficoltà nella risoluzione. Lezioni di geometria
…In particolare ho seguito le lezioni di geometria che si basavano sulla costruzione degli origami, spesso in quella occasione c’erano difficoltà di rappresentazione spaziale e questo mi portava ad avere un ruolo attivo e ad intervenire in modo propositivo alle attività in classe, nel senso che partecipavo vivamente alla spiegazione e magari alla realizzazione con cartocino delle figure geometriche.
Osservazioni sul lavoro in classe
L’insegnante della classe, che si riconosce nel movimento dell’educazione attiva, ha qualcosa in comune con l’opera della mamma come la descrive Winnicott, quando parla della capacità di introdurre il bambino o la bambina ad un rapporto creativo con il mondo. Dice Winnicott che il senso della realtà non si costruisce nel bambino con l’insistere della madre sulla esteriorità delle cose esterne, ma con la capacità della madre di adattarsi ed adattare la realtà al bisogno del bambino e l’adeguato decrescere di questa disponibilità. Ugualmente l’insegnante mette in grado la classe di fare esperienze che lo confermino nella sua capacità di intervenire con affetto nel mondo, è un lavoro di mediazione. La relazione è una dinamo, non un obbiettivo in sè. La classe risulta sicuramente differente dalle classi tradizionali, infatti richiama il modello di classe di Frenet…Dalla mia osservazione emerge che il maestro non utilizza e non fa utilizzare agli alunni il manuale scolastico. Questa è una caratteristica dell’attivismo, il quale afferma che la pecca del manuale scolastico è quello di stabilire nero su bianco, ciò che i ragazzi debbano impare a fare. Il manuale apporta la scienza fredda, impersonale e anonima, non bisogna quindi munire gli scolari di una trentina di libri uguali per ogni materia ma occorre collocare questi libri e altri ancora nella biblioteca di lavoro, in modo da aver sottomano una più ampia documentazione… Freinet dà origine ad un tipo di pedagogia popolare laica, impegnata a riscattare socialmente la classe operaia laica. L'attualità del suo pensiero sta nella ricerca di tecniche per ristabilire il circuito di un corretto apprendimento, tra le vite e le esperienze di tutti i soggetti coinvolti nel processo formativo. Il rifiuto del verbalismo della lezione come unico strumento di azione didattica, la ricerca di un continuo e proficuo scambio di esperienze tra i soggetti spinsero Freinet alla ricerca di una strumentazione per modificare le condizioni di vita nella scuola, per creare un clima diverso, per migliorare i rapporti, per rendere più efficace tutto il processo educativo…Esso trasformò la scuola in una piccola comunità, all'interno della quale erano presenti: una costante cooperazione tra insegnanti e tra alunni ed insegnanti; laboratori sia per lavori manuali che per attività intellettuali in cui le attività venivano supportate da alcune tecniche come il testo libero, la tipografia, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente e lo schedario autocorrettivo. L'esperienza concreta deve diventare spunto per lezioni di storia, geografia e calcolo in modo da far così aumentar, negli allievi, la motivazione e l'interesse ad apprendere. Il principio della scuola attiva è la legge del bisogno o dell'interesse.
La didattica attiva: come questa tradizione viene mantenuta nel lavoro della classe. Dalla relazione di tirocinio di Michela Loli, maggio 2010
I principi dell'educazione attiva che ho osservato in classe sono i seguenti:
- apprendimento attraverso il fare insieme;
- pluralità di strumenti e sussidi didattici;
- esperienze concrete;
- utilizzo delle mani;
- saperi costruiti insieme, non trasmessi;
- riflessione sull'esperienza effettuata.
Un esempio di lezione “attiva”
M: Oggi parleremo degli animali. Che cosa hanno in comune tutte le specie animali del mondo? Cominciamo da fuori, che cosa hanno?
A: La pelle
M: Si, tutti gli animali hanno un rivestimento esterno che tiene dentro tutto il resto. Il termine scientifico è epidermide. A che cosa serve il rivestimento esterno?
A: Perché altrimenti avremmo freddo
A: Per non far cadere gli organi
M: Esatto, per mantenere la temperatura e per contenere gli organi. Come hanno la pelle gli animali?
A: alcuni hanno il pelo
A: Alcuni ce l'hanno più grossa
(Giuliano dice i nomi di alcuni animali e chiede ai bambini come hanno la pelle).
M: La pelle serve per sentire è un organo di senso, come si chiama questo senso?
A: Tatto
M: E gli altri sensi?
(i bambini, con vari tentativi, elencano gli altri sensi).
Intervista a Giuliano Vaccari, insegnante e tutor di tirocinio
“La mia formazione è avvenuta fra gli anni ‘60 e ‘70 ed è legata prevalentemente ai movimenti dell'educazione attiva: ai CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell'Educazione Attiva) di origine francese poi diventati anche italiani, all’ MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e in particolare all'incontro di queste scuole con il pensiero montessoriano. L’idea pedagogica di fondo di questi movimenti è che si apprende attraverso il fare insieme, riflettendo poi sull'esperienza; quindi in campo educativo nella didattica quotidiana per le varie aree di apprendimento si lavora utilizzando il più possibile strumenti che si compensano fra di loro (libro, computer) ma soprattutto cercando di accompagnare il lavoro con esperienze concrete, vissute in prima persona sia dal punto di vista della relazione sia dal punto di vista del corpo, dei cinque sensi, in particolare attraverso l'uso delle mani, che nella scuola attuale ha perso molto significato, sostituito dalle cose già fatte (schede, fotocopie, computer). L'educazione attiva prevede il coinvolgimento di ciascun alunno in un’esperienza vissuta sia individualmente sia nel gruppo, valorizzando sempre l’elemento personale: si mette in condizione il bambino di capire come funziona il mondo che lo circonda e quindi di acquisire le varie competenze e gli apprendimenti, sperimentando in prima persona attraverso l'utilizzo di materiali che possono essere di vario tipo, per esempio l'utilizzo dell'origami in geometria. Lo stesso avviene per le altre materie, cercando di evitare la modalità dell'insegnante che parla e del bambino che ascolta, sostituito dal fare insieme.
All'interno di questo discorso c'è il repertorio dei materiali che si utilizzano. Molto spesso l'insegnante predispone materiali da lui pensati come schede di lavoro, raccolte di immagini, schemi di lavoro ma anche materiali audiovisivi ( per esempio serie di diapositive o prodotti informatici come cd, dvd o prodotti in Power Point, che sono l'evoluzione di sequenze di diapositive.)”

…Giuliano non utilizza il libro di testo, i saperi vengono ricercati e costruiti insieme sui quaderni, attraverso il dialogo e la partecipazione di ogni alunno. Il quaderno non è quindi, una semplice raccolta di esercizi e schede: è un libro prezioso, scritto a mano, curato, colorato, racchiude le conoscenze ricercate ed elaborate personalmente.
Ho trovato le lezioni molto coinvolgenti perché non si trattava della modalità trasmissiva tradizionale, nella quale l'insegnante spiega e gli alunni ascoltano e prendono appunti, bensì di un continuo cercare insieme le risposte, partendo da una domanda iniziale a cui ne seguivano a catena altre…
Dalla relazione di tirocinio di Clarissa Brigidi, maggio 2010
La presente intervista nasce da un’esigenza personale di approfondire e di rendere memoria all’esperienza di Villa Serena. Durante l’anno scolastico 1975/76, la scuola Giovanni XXIII non aveva più spazi sufficienti per ospitare tutti i bambini che vi facevano riferimento per stradario. Fu necessario spostare tre classi in una sede succursale, Villa Serena, in cui erano ancora funzionanti alcune sezioni di scuola speciale, una decina circa di alunni ancora frequentanti. Da soluzione di problemi logistici e organizzativi, la nuova situazione è così diventata opportunità di progettazione e sperimentazione per una esperienza didattica di grande interesse: da un lato la convivenza e l’interazione affettiva tra bambini di classi speciali e di classi normali, dall’altro la realizzazione di un modello di scuola a classi aperte, a laboratori disciplinari e a gruppi di attività manuali.
Ecco le parole del maestro:
“Impossibile dimenticare 5 anni di lavoro nei quali sperimentammo attività assolutamente all’avanguardia rispetto alla struttura rigida delle classi. Praticamente le classi, cinque, dalla prima alla quinta, esistevano solo sul registro e in realtà i bambini erano mescolati in gruppi verticali che lavoravano per laboratori relativi alle varie aree disciplinari.
Erano in realtà tutti laboratori di attività di produzione culturale molto concreti e terminavano sempre con la realizzazione di un prodotto che poteva essere una dispensa auto stampata al ciclostile o un manufatto creativo. C’era un clima assolutamente laborioso nello studio attraverso libri (di solito non quelli di testo), monografie, immagini, diapositive, materiali vari; un vero laboratorio di produzione di cultura secondo il metodo attivo della ricerca, per ipotesi di lavoro, per verifica delle ipotesi e giungendo a conclusioni parziali, sempre pervase dal dubbio e intercambiabili fra una materia e l’altra. Tutti cercavano, tagliavano, scrivevano, contavano, appuntavano, assemblavano, pareva un alveare laborioso dove tutti contribuivano al risultato. E’chiaro che in tutto questo lavoro si sviluppavano dinamiche assai complesse perché si potesse giungere alla collaborazione di tutti; si discuteva, ci si confrontava, si litigava anche, ma nello spirito comune di raggiungere comunque un risultato che sarebbe stato il risultato di quel gruppo e di quelle persone. I laboratori erano relativi a tutte le aree di apprendimento, i bambini erano mescolati fra classe prima e seconda in verticale e terza, quarta e quinta in verticale; a volte anche in gruppi con bambini di prima e seconda con quelli di quinta se si rendeva necessario un lavoro di tutoraggio tra i più grandi e i più piccoli.
I bambini diversamente abili lavoravano insieme agli altri, compresi quelli della cosiddetta classe speciale che avevamo trovato già funzionante quando ci trasferimmo in quella sede, infatti la scuola era conosciuta come una scuola speciale.
Che dire di personale? A distanza di tempo posso dire che fu un lavoro da pazzi, coinvolgente, accattivante e molto faticoso; il gruppo degli adulti doveva lavorare insieme, tutti a stretto contatto, la programmazione era precisa e stretta poiché si dovevano comunque rispettare anche dei tempi organizzativi e di produzione dei lavori finali. Il gruppo degli adulti preparava un sacco di materiali per i gruppi, tutti avevano chiari gli obiettivi di ciascun laboratorio che doveva essere molto pratico e produttivo poiché poi il lavoro doveva finire per consentire la rotazione di gruppi di bambini. Il gruppo degli adulti programmava insieme per le attività di grande gruppo e in unità più ridotte al fine di preparare i singoli laboratori, in genere da almeno due insegnanti; il gruppo poi si trovava periodicamente per sedute di supervisione condotte da un tecnico psicoterapeuta della ASL al fine di discuterne le dinamiche ed aggiustare il tiro delle relazioni e delle modalità di lavoro”.

L’esperienza di Villa Serena, da quello che si evince dalle parole del maestro, è stata ricca di significato perché si è caratterizzata per un impegno formidabile dei maestri a collaborare e a prendere decisioni condivise, ma soprattutto perché ha fatto intraprendere un percorso di integrazione tra bambini disabili che ha anticipato la legge 517 del 4 agosto 1977 per l’integrazione degli alunni con handicap. Si può sostenere che i maestri di Villa Serena abbiano avviato un vero e proprio percorso personale e collettivo di ricerca-azione…

Giuliana Santarelli